8. L'udienza preliminare
L’UDIENZA PRELIMINARE
Avanzata la richiesta di rinvio a giudizio (art. 416 c.p.p.) da parte del P.M., il G.U.P. fissa l’udienza con decreto, tale richiesta è nulla se non è preceduta dall’avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari, nonché dell’invito a presentarsi per rendere interrogatorio, qualora l’indagato abbia chiesto di essere sottoposto ad interrogatorio entro il termine di 20 giorni.
La funzione dell’udienza preliminare è quella di valutare il fondamento dell’accusa, con tale richiesta si ha l’esercizio dell’azione penale, si esce dalla fase procedimentale per entrare nel processo, in cui si avrà equiparazione tra P.M. e imputato, in questo momento è possibile la costituzione di parte civile, consegue la possibilità di accesso delle altre parti private eventuali, viene formulata l’imputazione e l’indagato assume la qualità di imputato. Nell’udienza preliminare, il P.M. ed il difensore svolgono i rispettivi argomenti e la conclusione potrà essere la sentenza di non luogo a procedere o il decreto di rinvio a giudizio. Il giudice, sentite le parti, deve dichiarare già nell’udienza preliminare la contumacia dell’imputato, che libero o detenuto, nel caso non compaia all’udienza stessa consapevolmente, volontariamente ed ingiustificatamente.
Se risultano le circostanze indicate dall’art. 425 c.p.p. (causa estinzione reato, mancanza condizione di procedibilità, fatto non previsto come reato, fatto non sussistente o non commesso dall’imputato), il giudice emetterà sentenza di non luogo a procedere. La sentenza verrà pronunciata subito dopo la discussione e il giudice leggerà in aula la motivazione, il provvedimento sarà ricorribile in Cassazione.
Qualora dal materiale esibito in udienza, il giudice si convinca della necessità del giudizio, dovrà emettere decreto di rinvio al Tribunale o alla Corte di Assise, secondo le rispettive competenze, in tal caso il provvedimento non dovrà essere motivato, richiedendosi solo l’indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono. Al rinvio a giudizio consegue la necessità di formare il fascicolo per il dibattimento, in cui confluiranno gli atti previsti dall’art. 431 c.p.p., quindi gli atti irripetibili con esclusione assoluta di tutti gli atti ripetibili nel dibattimento e che sarebbero idonei a generare un pregiudizio nei confronti del giudice di dibattimento, innanzi al quale deve fornirsi la prova. Su accordo delle parti, possono confluire anche gli atti delle indagini preliminari non previsti nell'art. 431 c.p.p., nonché gli atti delle indagini difensive, si avrà così un doppio fascicolo: quello per il dibattimento in conformità all'art. 431 c.p.p. e quello del P.M. ove rimangono gli altri atti.
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RIAPERTURA DELLE INDAGINI E REVOCA SENTENZA NON LUOGO A PROCEDERE
Sia dopo l’archiviazione che dopo la sentenza di non luogo a procedere può rendersi necessario riaprire le indagini, solo se sopravvengono o si scoprono nuove fonti di prova.
Nel caso dell’archiviazione basterà l’esigenza di nuove investigazioni per richiedere al G.I.P. il decreto motivato che autorizza la riapertura delle indagini. Nel caso della sentenza occorre che sopravvengano o si scoprano nuove fonti di prova che possano determinare il rinvio a giudizio. La procedura per la revoca della sentenza di non luogo a procedere, nella sua prima fase (richiesta di rinvio a giudizio o riapertura delle indagini) appartiene al G.I.P., nella seconda eventuale fase (decisione sulla richiesta di rinvio a giudizio), appartiene al G.U.P.