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11. Tribunale monocratico

LA RIFORMA DEL 2000

Il 2 Gennaio 2000 entrò in vigore la riforma processuale (L. n.479/1999) e mirò ad interventi diretti all’istituzione del giudice unico di primo grado, con soppressione ed assorbimento delle preture, con la riduzione dal carico processuale innanzi al Tribunale ordinario attraverso l’abrogazione di numerosi reati minori e la trasformazione di altri reati in illeciti amministrativi, con la nuova figura del Tribunale Monocratico e gli interventi garantistici pro reo per il giusto processo.

 

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IL TRIBUNALE IN COMPOSIZIONE MONOCRATICA

Il Tribunale in composizione monocratica è un tribunale che si caratterizza per la presenza di un solo magistrato nella funzione decisoria. Essa si contrappone alla composizione collegiale a cui partecipano una pluralità di soggetti che possono rivestire la qualità di togati o di laici. La scelta dell'una o dell'altra composizione è stabilita dal legislatore in ragione della maggior garanzia o ponderazione nelle decisioni presa da un organo collegiale rispetto a quella del giudice unico. 

Sono attribuiti al tribunale in composizione monocratica i delitti puniti con la pena della reclusione fino a 10 anni nel massimo, purché non siano di competenza del giudice di pace. Sono inoltre attribuiti al tribunale in composizione monocratica i delitti previsti dall'art. 73 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309 relativi alla produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, sempre che non siano contestate le aggravanti di cui all'art. 80 commA 1, 3, 4 del medesimo testo unico.

Le attribuzioni del Tribunale monocratico vengono dunque individuate secondo un criterio quantitativo e uno qualitativo. La violazione delle medesime attribuzioni, intese quindi nel senso di ripartizione degli affari penali, tuttavia non determina l'invalidità degli atti del procedimento, né l'inutilizzabilità delle prove già acquisite (art. 33nonies c.p.p.).

Il criterio quantitativo fa riferimento alla pena prevista per il reato commesso. Sono di competenza del tribunale monocratico le contravvenzioni e i delitti puniti con la pena pecuniaria o la pena detentiva fino a 4 anni (oltre ai reati puniti con pena superiore nominativamente indicati); in più si aggiungono i reati punibili con la reclusione fino a 10 anni.

All'interno si possono individuare due fasce ai fini della individuazione del rito:

  • la prima fascia è costituita dai reati punibili fino a 4 anni ovvero da quelli indicati nominativamente dall'art. 550 comma 2 c.p.p.;

  • la seconda fascia è costituita dai reati punibili fino a 10 anni e da quelli di cui all'art. 73 D.P.R. n.309/1990.

Ciò che li differenzia è il rito. Per i reati della prima fascia il pubblico ministero, dopo aver concluso le indagini preliminari e aver svolto le attività di cui all'art. 415bis c.p.p., procede all'emanazione del decreto di citazione diretta in udienza, con l'omissione dell'udienza preliminare. È per questo che il procedimento davanti al tribunale monocratico si dice "differenziato" rispetto a quello "ordinario" del tribunale collegiale. Per i reati della seconda fascia invece resta applicabile nei limiti di compatibilità il rito ordinario.

Il criterio qualitativo ricomprende la cognizione di determinati reati previsti tassativamente dalla legge. Ad esempio, reati in materia di stupefacenti.

La minore gravità dei reati assegnati alla sua cognizione, giustifica l’attribuzione al P.M. di maggiori poteri di impulso processuale. I procedimenti innanzi al tribunale monocratico comportano limitazioni di fatto alla esperibilità dell’incidente probatorio, attività sollecitatoria del P.M. ai fini dei riti speciali (quando non è prevista l’udienza preliminare), semplificazione della verbalizzazione d’udienza, eventuale esame diretto ad opera del Tribunale monocratico, legittimazione degli avvocati praticanti abilitati al patrocinio.

Per i reati del tribunale monocratico, nel caso in cui non deve essere celebrata l’udienza preliminare, abbiamo:

  • Rito abbreviato: il giudizio abbreviato (art. 556 c.p.p.), è richiedibile solo dall’imputato, può essere instaurato in sede di udienza preliminare se questa è prevista, dopo la citazione a giudizio ma prima del dibattimento ordinario quando sia prevista tale citazione durante gli altri riti speciali attivati dal P.M. (direttissima, procedimento per decreto penale). Il rito abbreviato ha luogo innanzi al G.I.P o al G.U.P. o al giudice dibattimentale, a seconda della fase in cui si trova il processo, in ogni caso comporta la piena utilizzabilità degli atti contenuto nel fascicolo del P.M. con notevole riduzione dell’istruzione probatoria.

  • Applicazione della pena su richiesta delle parti: innanzi al Tribunale monocratico il patteggiamento è esperibile con le stesse forme e gli stessi limiti previsti innanzi al collegiale, ma differenza del rito abbreviato non può essere condizionato ad integrazioni probatorie dovendo avvenire unicamente sulla base degli atti. E’ ammissibile durante le indagini preliminari, in fase predibattimentale, in fase dibattimentale e in sede di conversione. La sentenza applicativa della pena patteggiata, tanto se pronunciata dal G.I.P. che dal tribunale monocratico dibattimentale, non è appellabile, ma solo ricorribile per Cassazione.

  • Procedimento per decreto: consistente nell’applicazione di una pena pecuniaria, non presenta particolari differenze rispetto all’analogo procedimento innanzi al collegiale. Anche innanzi al Tribunale monocratico il P.M. formula unilateralmente al G.I.P. entro 6 mesi dalla notitia criminis, la richiesta di decreto penale a pena pecuniaria, diminuita fino alla metà del minimo edittale. Competente dell’emissione del decreto è il G.I.P.

  • Giudizio direttissimo: è l’unico ad essere celebrato in dibattimento, non essendovi la possibilità del giudizio immediato. L’ipotesi della convalida dell’arresto, contestuale al giudizio, anche in sede monocratica prevede che il P.M. presenti l’imputato in stato di arresto davanti al giudice dibattimentale, in alternativa la presentazione (immediata o entro le 48 ore dall’arresto, per la convalida), qui può avvenire anche per sollecitazione della stessa P.G. che ha eseguito l’arresto, sulla base dell’imputazione formulata dal P.M. Il P.M., avvisato dalla Polizia, dispone che l’indagato sia custodito in arresto domiciliare nel circondario del tribunale in cui l’arresto è stato eseguito. In via eccezionale è custodito presso strutture nella disponibilità della P.G. 8le camere di sicurezza), se non sono idonei abitazione dell’arrestato o un altro luogo di privata dimora o se l’arresto è dovuto a rapina o estorsione o a furto in abitazione o con strappo. Quando le camere di sicurezza mancano o non sono idonee, il P.M. ordina con decreto motivato che l’arrestato sia condotto in carcere. Con la L. n.9/2012 è stato esteso il diritto di visita dei parlamentari, magistrati di sorveglianza, garanti dei diritti dei detenuti, anche alle camere di sicurezza. Se il giudice convalida l’arresto, procede direttamente al giudizio, qualora non venga convalidata la misura precautelare, il giudice restituisce gli atti al P.M. per procedere secondo il rito ordinario, salvo che l’imputato ed il P.M. non prestino il consenso per procedere a giudizio direttissimo. Una volta convalidato l’arresto, l’imputato ha facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa non superiore a 5 giorni, in tal caso il dibattimento è sospeso fino all’udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine, inoltre ha la facoltà di richiedere giudizio abbreviato e applicazione della pena su richiesta delle parti. Al P.M. è riservata la facoltà di procedere al giudizio direttissimo entro 30 giorni dalla convalida dell’arresto quando tale scelta non pregiudichi le indagini e nel caso di persona che nel corso dell’interrogatorio.

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