2. Principi del diritto penale
PRINCIPIO DI LEGALITA’
E’ il principio formale su cui si basa il Sistema Penale ed è fondato sul Sistema del doppio binario, basato sia sulla pena che sulle misure di sicurezza. E' sancito dai seguenti articoli:
- Art. 25 Cost.: "Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge."
- Art. 1 c.p.: "Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che siano da esse stabilite."
- Art. 199 c.p.: "Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza che non siano espressamente stabilite dalla legge e fuori dai casi dalla legge stessa preveduti."
Il principio di legalità formale ha quattro corollari:
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Principio di riserva di legge: qualsiasi comportamento per costituire reato deve essere previsto dalla legge e qualsiasi condotta per costituire reato deve corrispondere alla descrizione legale, contenuta nella norma incriminatrice;
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Principio di tassatività: necessità della formulazione di una fattispecie tipica, che specifichi ciò che è penalmente lecito o illecito;
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Principio di irretroattività (art. 2 c.p.): nessuno può essere punito per un fatto che non fosse previsto come reato al momento in cui fu commesso (è operante nei riguardi delle norme incriminatrici ma non rispetto alle misure di sicurezza, riguarda inoltre tutte le norme giuridiche, anche se non penali, da cui potrebbe dipendere la rilevanza penale sopravvenuta);
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Principio di tipicità (o divieto di analogia): è reato solo quel fatto che il legislatore ha espressamente e tassativamente considerato come tale. Eccezione a tale corollario è la c.d. l'interpretazione estensiva.
A tal proposito, meritano menzione i concetti di interpretazione e analogia.
L’interpretazione giuridica è quel procedimento logico attraverso il quale si chiarisce e si spiega il significato di una norma. Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello palese del significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e della intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe, se vi sono ancora dubbi, si decida secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico dello Stato.
Si ha poi la successione di leggi, quando una norma si estingue ed un’altra le subentra. Il fenomeno successorio delle leggi penali è regolato col principio di irretroattività della norma incriminatrice, sia nell’ipotesi in cui la legge istituisca un nuovo titolo di reato, sia quando il mutamento di uno degli elementi costitutivi di preesistente fattispecie criminose, rende punibili fatti che prima non lo erano. Nel dettaglio:
- abolitio criminis: se la nuova norma non prevede più come reato, un fatto che in precedenza era considerato tale, si applica il principio di retroattività della legge.
- abrogazione: si ha quando una fattispecie di portata più generale, succede ad una precedente di portata più specifica, ossia è l’istituto mediante il quale il legislatore determina la cessazione dell’efficacia di una norma giuridica.
- modificazione: prevede due casi:
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Teoria della continuità del tipo di illecito: si ha una modificazione se tra due norme il bene giuridico protetto e le modalità di aggressione allo stesso sono uguali.
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Teoria del rapporto di continenza: si ha una modificazione quando la nuova norma introduce una fattispecie con elementi di specialità rispetto alla disposizione precedente.
La Cassazione ha stabilito che vi è sempre l’individuazione della normativa di favore per il reo, quindi fra due leggi, una nuova e una vecchia, occorre applicare quella che tra le due risulti più vantaggiosa per il reo, ossia che condurrà a conseguenze meno gravose per il reo.
Il principio di retroattività non è applicato per le leggi eccezionali (situazioni anormali) e temporanee (hanno vigore entro un limite di tempo da esse determinato). In questi casi si applica solo e sempre la disposizione in vigore nel tempo in cui è stato commesso il fatto.
PRINCIPIO DI MATERIALITA'
Il reato deve necessariamente consistere in un fatto umano materialmente palesatosi nel mondo esteriore e la sola intenzione di commettere un reato non è punibile.
PRINCIPIO DI OFFENSIVITA'
Occorre che il reato sia realmente ed effettivamente offensivo del bene protetto della norma incriminatrice.
PRINCIPIO DI SOGGETTIVITA'
Un comportamento umano costituisce reato quando, oltre ad essere tipico e compiuto in assenza di cause di giustificazione, è anche riferibile alla volontà dell'agente (art. 27 Cost). A seguito della sentenza n.364/1988 della Corte Costituzionale, è divenuto principio di colpevolezza, diventando il presupposto della personalità della responsabilità penale e si oggettiva in un giudizio di rimproverabilità per l'atteggiamento.
PRINCIPIO DI TERRITORIALITA’
Tutti gli atti dello Stato, compresi quelli legislativi, incontrano nel territorio il loro limite spaziale di efficacia.
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La legge penale italiana, obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovino nel territorio dello Stato (art. 3 comma 1 c.p.p.).
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Chiunque commette un reato nel territorio dello Stato è punito secondo la legge italiana (art 6 comma 1 c.p.p.).
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La legge penale italiana, obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovino all’estero, ma limitatamente ai casi stabiliti dalla legge medesima o dal diritto internazionale (art 3 comma2 c.p.p).
E' definito territorio dello Stato:
- Il territorio della Repubblica, ossia:
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La terraferma nei limiti fissati dai confini politici.
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Il mare territoriale che comprende le zone di mare dall’estensione di 12 miglia marine, lungo le coste continentali e insulari.
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La spazio aereo sovrastante il territorio ed il mare territoriale.
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Il sottosuolo, fin dove l’uomo può ricavare utilità.
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Le ambasciate.
- Le navi e gli aerei, dovunque si trovino, salvo che siano soggetti secondo il diritto internazionale, a una legge territoriale straniera. Le navi mercantili private all’estero sono soggette alle leggi locali, le navi militari o dello Stato, a bordo sono sempre da considerarsi territorio italiano, mentre per i fatti commessi dall’equipaggio sceso a terra, si applicherà la legge dello Stato in cui si trovano.
Vi sono dei reati che anche se commessi all’estero saranno sempre puniti incondizionatamente dallo Stato Italiano:
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Delitti contro le personalità dello Stato.
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Delitti di contraffazione del sigillo dello Stato e uso di tale sigillo.
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Delitti di falsità di monete in corso legale nel territorio dello Stato e in valori di bollo o carte di credito.
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Delitti commessi da Pubblici Ufficiali a servizio dello Stato abusando di poteri o violando i dover inerenti alle loro funzioni.
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Ogni reato per cui speciali disposizioni di legge o di convenzioni internazionali stabiliscano l’applicabilità della legge italiana.
Il reato si considera commesso nel territorio dello Stato, quando l’azione o l’omissione che lo costituisce è ivi avvenuta in tutto o in parte, oppure ivi si è verificato l’evento
Il delitto comune commesso all’estero da italiano o da straniero, è punibile in Italia e secondo la legge italiana a condizione che: si tratti di delitto, sia punito con la reclusione, il reo sia presente in Italia.
E’ ammesso eccezionalmente il riconoscimento delle sentenze emesse da Tribunali stranieri al fine di:
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Per stabilire la recidività, ovvero per definire la tendenza a delinquere.
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Quando secondo la legge, si dovrebbe sottoporre la persona a misure di sicurezza.
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Quando importa condanna a restituzione o risarcimento, che devono essere fatti valere in Italia.
Caso particolare è il c.d. delitto politico.
E’ delitto politico ogni delitto che offende un interesse politico dello Stato ovvero un diritto politico del cittadino, è altresì considerato delitto politico il delitto comune determinato in tutto o in parte, da motivi politici.
I delitti politici sono diretti, quando offendono gli interessi politici dello Stato nella sua essenza unitaria, sono indiretti quelli che offendono un diritto politico del cittadino per impedirgli di partecipare alla vita attiva dello Stato. Rientrano in questa categoria i delitti anarchici e quelli commessi per finalità di terrorismo.
In questo contesto, fattispecie rilevante è l'estradizione (art. 13 c.p.).
Consiste nella consegna che uno Stato fa di un individuo, che si sia rifugiato nel suo territorio, ad un altro Stato, perché ivi venga sottoposto al giudizio penale o alle sanzioni penali.
Può essere attiva, quando l’Italia riceve in consegna un individuo che si trova all’estero o passiva, quando l’Italia consegna ad uno Stato Straniero un individuo qualora questi abbia commesso un reato che quello Stato è interessato a punire.
L’estradizione non è ammissibile tranne i casi espressamente previsti dalle convenzioni internazionali, è vietata per i reati politici ad eccezione dei delitti di genocidio, per motivi di razza, religione o nazionalità e per reati puniti all’estero con la pena di morte.
La legge italiana pone le seguenti condizioni per l'estradizione:
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il fatto che forma l’oggetto della domanda di estradizione deve essere preveduto come reato sia dalla legge italiana che da quella straniera;
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non si deve trattare di reato per il quale le convenzioni internazionali facciano divieto di estradizione;
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l’estradando deve essere straniero, in caso contrario deve essere consentita nelle convenzioni internazionali.
In tema di estradizione vi è il principio di specialità, ossia lo Stato richiedente ha l’obbligo di non processare l’estradato per un fatto anteriore o diverso da quello per cui è stata concessa l’estradizione e ha il dovere di non assoggettare lo stesso ad una pena diversa da quella relativa al fatto per cui è stata concessa.
PRINCIPIO DI OBBLIGATORIETA’
Il nostro diritto positivo dispone che, la legge penale italiana, obbliga tutti coloro che, cittadini o stranieri, si trovano nel territorio dello Stato, salvo le eccezioni stabilite dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale. Ciò è sancito dal brocardo “ius excludendi alios”: sul proprio territorio, lo Stato non riconosce nessun’altra autorità al di fuori della propria.
Le immunità sono particolari prerogative riconosciute a determinate persone che adempiono funzioni o ricoprono uffici di particolare importanza. Esse si sostanziano nell’esenzione di questi soggetti da ogni conseguenza penale, in ragione della loro qualifica personale e derivano o dal diritto pubblico interno o dal diritto internazionale:
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diritto interno: riguardano il Capo dello Stato, che non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni (tranne che per alto tradimento o attentato alla Costituzione). Riguardano inoltre: i membri del Parlamento e i Consiglieri regionali, per le opinioni espresse e i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni (nessun membro del Parlamento può essere arrestato senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza, salvo reati per i quali è obbligatoria la cattura), i Giudici della Corte Costituzionale e i membri del C.S.M. Nessuna immunità è prevista per i reati comuni.
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diritto internazionale: riguardano i Capi di Stato esteri che si trovano in tempo di pace in Italia, il Papa, i Ministri degli Affari esteri e i membri stranieri dei tribunali arbitrari, gli agenti diplomatici accreditati presso il Capo dello Stato, Consoli, Vice Consoli e Agenti consolari, reparti di truppe straniere autorizzati dallo Stato, diplomatici stranieri, membri del Parlamento Europeo e della Corte dell’Aja.
PRINCIPIO DEL “NE BIS IN IDEM”
Il principio del "ne bis in idem" sostanziale, esclude che per uno stesso ed unico fatto, una persona possa essere chiamata a rispondere di titoli diversi di reato.
Questo principio costituisce il fondamento dei criteri destinati ad evitare la contemporanea applicazione di più norme ad uno stesso fatto, fenomeno definito concorso apparente di norme coesistenti.
Si parla di concorso apparente di norme coesistenti in tutte le ipotesi in cui due o più norme sembrano, in astratto, applicabili al medesimo fatto, ma in concreto l’applicazione di una esclude l’altra. La ratio di tale disciplina è escludere che al colpevole venga applicato il regime del concorso di reati in modo ingiustificato. Nello stabilire la regola di cui sopra, il legislatore italiano ha accolto il c.d. criterio di specialità, secondo il quale lex specialis derogat legi generali.
I criteri per dirimere il conflitto apparente di norme e quindi per applicare il principio del ne bis in idem in astratto sono tre:
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Criterio di specialità (art. 15 c.p.): presuppone che tra due norme esista un rapporto di genere a specie e comporta la priorità della norma speciale su quella generale. La norma è speciale quando contiene, oltre agli elementi compresi nella fattispecie generale, anche degli elementi particolari e specifici. Questo principio ha molta rilevanza nel risolvere casi in cui due o più leggi possano regolare lo stesso fatto giuridico, e quindi vi siano dubbi su quale decisione adottare. Questo criterio stabilisce pertanto la supremazia delle leggi speciali sul codice civile, e delle leggi riguardanti un preciso settore su quelle generiche. Da ultimo le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 1963 del 21 gennaio 2011, hanno precisato che il principio di specialità, quale criterio di soluzione dell’eventuale concorso tra norme penali incriminatici e norme amministrative sanzionatorie, presuppone il confronto strutturale tra le rispettive fattispecie astratte.
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Criterio di sussidiarietà: le cosiddette norme sussidiarie si applicano solo se non possono trovare applicazione altre norme primarie. Il criterio di sussidiarietà sarebbe in grado di individuare una relazione fra norme che prevedono gradi diversi di offesa al medesimo bene giuridico: ad esempio, fra la contravvenzione di atti contrari alla pubblica decenza e il delitto di atti osceni. In tali casi, la norma che prevede l'offesa più grave andrebbe applicata in sostituzione della fattispecie che prevede un'offesa di grado minore.
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Criterio di consunzione o assorbimento: esso afferma che, quando la commissione di un reato è solitamente accompagnata dalla commissione di un secondo ulteriore reato (si pensi ad una truffa commessa millantando credito), la comune valutazione sociale porta ad escludere che al medesimo soggetto possano essere addebitati ambo i reati: in tutti questi casi andrebbe solo applicata la norma che prevede la pena più grave. Secondo prevalente dottrina, tale criterio sarebbe l'espressione di un principio più generale, detto appunto "ne bis in idem" sostanziale, accolto dal legislatore penale in sede di disciplina del concorso di norme penali.