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1. L'imprenditore e l'impresa

LA LIBERTA' DI IMPRESA E DI MERCATO
La Costituzione italiana riconosce la proprietà privata e la libertà di iniziativa economica (artt. 41-42 Cost.). In particolare l'art. 41 Cost. pone a fondamento del sistema economico italiano il principio della libera iniziativa economica privata e prevede l'intervento "regolatore" dello Stato solo in funzione sussidiaria, integrativa e promozionale.
La libertà di iniziativa economica implica la libertà dei privati di dedicarsi all'attività d'impresa, attraverso la produzione e la distribuzione di quanto necessario per soddisfare i bisogni della collettività, nonché la libertà di competizione economica tra quanti operano sul mercato. La legge, inoltre, prefigura limiti, programmi e controlli per indirizzarla e coordinarla ai fini sociali in funzione della realizzazione di fini di utilità generale e del preminente interesse collettivo ad un'equa distribuzione delle risorse.

 


IL PRINCIPIO DELLA LIBERTA' DI CONCORRENZA E I SUOI LIMITI
Al principio della libertà di iniziativa economica privata è strettamente collegato quello della libertà di concorrenza tra imprenditori, i quali si fronteggiano liberamente sul mercato allo scopo di conquistarne quote per accrescere il proprio profitto e la propria stabilità economica.
Il codice civile stabilisce che la concorrenza deve essere svolta in modo da non danneggiare gli interessi dell'economia nazionale, mantenendosi entro i limiti stabiliti dalle leggi (art. 2595 c.c.). Essa deve esercitarsi con metodi leali, cioè con l'osservanza di determinate regole in modo da evitare di alterare il gioco della competizione economica. Colui che subisce gli atti di concorrenza sleale è legittimato ad ottenere i provvedimenti inibitori alla continuazione dell'attività sleale e diretti all'eliminazione degli effetti lesivi della concorrenza (art. 2599 c.c.). Se gli atti di concorrenza sleale sono stati compiuti con dolo o colpa, colui che li ha subiti ha diritto al risarcimento del danno nei confronti dell'autore degli stessi (art. 2600 c.c.).
Se la disciplina codicistica è prevalentemente intesa a regolamentare i rapporti tra imprenditori concorrenti, la normativa comunitaria in materia di concorrenza è più attenta al mercato, tutelando gli interessi dei consumatori e della collettività contro quei comportamenti mirati ad impedire, restringere o falsare la competizione imprenditoriale sul mercato.
Ispirandosi ai principi fissati dalla c.d. normativa antitrust, il legislatore italiano ha adottato con la L. n.287/1990 (modificata poi dalla L. n.57/2001) una normativa di applicazione residuale destinata alla tutela del mercato interno. In particolare, la L. n.287/1990 prevede:

  • il divieto di abuso della posizione dominante di un'impresa rispetto alle altre se questa rischia di pregiudicare un'effettiva concorrenza (ad esempio, fissazione dei prezzi di vendita così bassi da rendere difficile ai concorrenti l'ingresso o la permanenza sul mercato);

  • il divieto di operazioni di concentrazione totale o parziale tra due o più imprese, quando abbiano l'effetto di costituire o rafforzare posizioni dominanti sul mercato;

  • il divieto di intese realizzate da due o più imprese restrittive della libertà di concorrenza nell'ambito del mercato nazionale (ad esempio, accordo tra imprese che producono gli stessi beni le quali si accordano sulla fissazione dei prezzi di vendita, eliminando in tal modo la concorrenza reciproca).

La valutazione sul carattere restrittivo della libertà di concorrenza spetta ad un organo appositamente costituito, l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), al quale sono affidati importanti funzioni di vigilanza a consistenti poteri di indagine e di intervento.

 


NOZIONE DI IMPRESA E CARATTERI DELL'ATTIVITA' D'IMPRESA
Nell'ordinamento italiano la nozione di impresa si ricava dalla definizione di imprenditore contenuta nell'art. 2082 c.c., ai sensi del quale è imprenditore "chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi" ad essa connessi. Pertanto, requisiti dell'imprenditorialità sono:

  • l'attività economica intesa come attività diretta alla produzione di nuova ricchezza;

  • l'organizzazione consistente nel coordinamento dei fattori produttivi (capitale, lavoro, ecc.);

  • la professionalità implicante l'abitualità e la stabilità nell'esercizio dell'attività economica, che non deve risultare saltuaria od occasionale;

  • la destinazione al mercato dei beni e servizi prodotti nell'esercizio dell'attività.

In sintesi, impresa è ogni attività economica organizzata, esercitata professionalmente e diretta alla produzione di beni e di servizi per il mercato.

 


L'AZIENDA: DEFINIZIONE, DISCIPLINA E VICENDE
Strettamente connessa alla nozione giuridica di impresa è quella di azienda, definita dal legislatore quale complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa (art. 2555 c.c.). La capacità produttiva dell'azienda si concreta in quello che viene definito avviamento, ossia nell'attitudine del complesso di beni di cui essa si compone a produrre un risultato economico positivo.

In ipotesi di cessione di azienda, l'esigenza di assicurare la tutela fondamentale dell'avviamento ha indotto il legislatore ad imporre all'alienante l'obbligo di astenersi, per il periodo dei successivi 5 anni, dall'iniziare una nuova impresa che, per l'oggetto, l'ubicazione od altre circostanze, sia idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta (c.d. divieto di concorrenza ex art. 2557 c.c.).
In caso di trasferimento di azienda (che può avvenire anche per un solo ramo di essa, inteso quale settore dotato di autonoma organicità operativa) si verifica il subentro dell'acquirente nei contratti stipulati per l'esercizio dell'impresa che non abbiano carattere personale (art. 2558 c.c.). Con il trasferimento dell'azienda vengono in rilievo, in quanto ad essa facenti capo:

  • le posizioni creditorie, le quali vengono acquistate senza che il debitore ne sia informato mediante notifica od accettazione da parte dello stesso;

  • le posizione debitorie anteriori al trasferimento, per le quali, in funzione dell'esigenza di tutela dei creditori, è previsto che l'alienante non sia liberato se i creditori medesimi non vi abbiano acconsentito (art. 2560 c.c.).

L'azienda può anche essere concessa in usufrutto o affitto, consentendosi l'esercizio di una impresa con beni di proprietà altrui. Contenuto del diritto dell'usufruttuario e dell'affittuario è il godimento dell'azienda, della quale devono mantenere la destinazione e la capacità produttiva (artt. 2561-2562 c.c.).

 


LE SINGOLE FORME DI IMPRESA
L'attività di impresa viene classificata in funzione dell'oggetto, della struttura organizzativa e delle dimensioni dell'impresa.
Sotto il profilo dell'oggetto si distingue:
- l'impresa commerciale = ai sensi dell'art. 2195 c.c. è imprenditore commerciale chi esercita:

  • un'attività d'impresa diretta alla produzione di beni o servizi;

  • un'attività intermediaria nella circolazione dei beni;

  • un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;

  • un'attività bancaria o assicurativa;

  • altre attività ausiliare alle precedenti.

La qualità di imprenditore commerciale si acquista con lo svolgimento effettivo dell'attività, per il quale è la richiesta la capacità di agire dell'imprenditore, e si perde con al fine dell'attività, perchè l'organizzazione aziendale è andata disgregandosi a seguito della liquidazione del complesso dei beni che ad essa fanno capo. L'imprenditore commerciale è soggetto ad un particolare regime giuridico, comunemente denominato statuto dell'imprenditore commerciale.
- l'impresa agricola = l'imprenditore agricolo è definito dal legislatore in relazione a due ambiti di attività: le attività agricole essenziali e quelle ad esse connesse. Ai sensi dell'art. 2135 c.c. sono attività agricole essenziali quelle dirette alla coltivazione del fondo, alla selvicoltura e all'allevamento di animali. Le attività agricole connesse sono quelle dirette:

  • alla conservazione, manipolazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli, quando rientrino nell'esercizio normale dell'agricoltura;

  • alla fornitura di beni o di servizi, svolte mediante l'utilizzazione prevalente di attrazzature e risorse dell'azienda impiegate in via ordinaria nell'esercizio dell'attività agricola.

Per l'imprenditore agricolo vige una disciplina di favore che contempla, rispetto allo statuto imposto all'imprenditore commerciale, talune facilitazioni:

  • esclusione dall'obbligo della tenuta delle scritture contabili;

  • non assoggettabilità a fallimento e alle altre procedure concorsuali in casi di insolvenza;

  • iscrizione in una sezione speciale del registro delle imprese, con la sola funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia.

- l'impresa artigiana = la L. n.443/1985 sancisce che è imprenditore artigiano chi esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare l'impresa artigiana e svolge in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo. L'attività artigiana si caratterizza in base ai seguenti requisiti:

  • deve avere ad oggetto la produzione di beni o la prestazione di servizi di natura artistica od usuale;

  • il suo titolare deve dirigerla personalmente, collaborarvi con il proprio lavoro professionale e con l'eventuale apporto dei propri familiari, assumendosi la piena responsabilità dell'azienda, con tutti gli oneri e i rischi relativi alla sua direzione e gestione;

  • il numero di dipendenti e apprendisti che lavorano nell'impresa non devono superare determinati limiti.

Sotto il profilo dimensionale si distingue il piccolo imprenditore dall'impresa medio-grande. Ai sensi dell'art. 2083 c.c. sono piccoli imprenditori:

  • i coltivatori diretti del fondo;

  • gli artigiani;

  • i piccoli commercianti;

  • coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e della propria famiglia.

Al piccolo imprenditore si applica una disciplina di favore rispetto a quella prevista per gli imprenditori commerciali "non piccoli". Benché sia operativa nei suoi confronti la disciplina generale dell'impresa, per il piccolo imprenditore abbiamo:

  • l'esclusione dell'obbligo della regolare tenuta delle scritture contabili;

  • la non assoggettabilità, per il caso di insolvenza, al fallimento e alle altre procedure concorsuali;

  • il dovere di iscrizione in una sezione speciale del registro delle imprese, per la quale è prevista una mera efficacia di pubblicità notizia, distinta dalla pubblicità legale che invece si accompagna all'iscrizione nella sezione ordinaria.

Sotto il profilo della struttura organizzativa, si distingue tra impresa individuale e impresa collettiva:

  • impresa individuale = è caratterizzata dalla figura dell'imprenditore-proprietario che ha la direzione ed il controllo dell'attività economica, assumendo il rischio delle operazioni intraprese, rischio che si traduce nella responsabilità illimitata per le obbligazioni assunte nell'interesse dell'impresa.

  • impresa collettiva = prevede la collaborazione in forma associata tra due o più soggetti che assumono collettivamente la funzione imprenditoriale, condividendo la responsabilità e i rischi connessi all'esercizio dell'impresa, ma anche gli utili che ne derivano. Si tratta di fattispecie in cui, attraverso la stipula di un contratto, si dà vita ad un ente distinto dalle persone dei singoli soci che vi partecipano, dotato in misura più o meno ampia di autonomia patrimoniale e di una struttura organizzativa più o meno complessa.

 


L'IMPRESA FAMILIARE
L'art. 230bis c.c., introdotto dalla L. n.151/1975 sulla riforma del diritto di famiglia, definisce l'impresa familiare come l'impresa nella quale prestano attività continuativa di lavoro il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo.
Ai soggetti partecipanti all'impresa spettano:

  • il diritto al mantenimento, la cui misura è calcolata in relazione alla condizione patrimoniale della famiglia;

  • il diritto agli utili, ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell'impresa in proporzione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato;

  • il diritto di partecipare alle decisioni concernenti l'impiego degli utili e degli incrementi, nonché a quelle inerenti alla gestione straordinaria dell'impresa e a quelle relative agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell'impresa. Tali decisioni sono adottate a maggioranza dei familiari che partecipano all'impresa.

I diritti scaturenti dalla partecipazione sono intrasferibili, salvo che il trasferimento avvenga in favore di altro familiare che possa far parte dell'impresa e con il consenso di tutti gli altri. In ipotesi di divisione ereditaria o di alienazione dell'azienda, i familiari che vi prestano il lavoro hanno un diritto di prelazione sulla stessa, per cui spetterà ad essi in primo luogo il diritto di poterla acquistare.

 


I SEGNI DISTINTIVI DELL'IMPRESA: LA DITTA, L'INSEGNA E IL MARCHIO
I segni distintivi dell'impresa assumono connotati di veri e propri collettori di clientela, consentendo di legare la clientela all'imprenditore, al prodotto o ai locali dove svolge la sua attività. Tali segni distintivi sono tradizionalmente individuati nella ditta, nell'insegna e nel marchio.
La ditta è il nome commerciale sotto il quale l'imprenditore svolge il suo operato (artt. 2563-2568 c.c.). Comunque sia formata, essa deve contenere almeno il nome, il cognome o la sigla dell'imprenditore (c.d. principio della verità). La ditta costituisce un mezzo di individuazione necessario dell'impresa, per cui, in assenza di scelta, essa verrà a coincidere con il nome civile dell'imprenditore. Essa definisce:

  • ragione sociale, per le società di persone;

  • denominazione sociale, per le società di capitali.

L'imprenditore ha diritto all'uso esclusivo della ditta da lui prescelta, ma se uguale o simile a quella utilizzata da altro imprenditore, tale da generare confusione e/o indeterminazione, deve essere integrata oppure modificata con idonee indicazioni atte a differenziarla (c.d. principio della novità). Ai sensi dell'art. 2565 c.c. la ditta non può essere trasferita separatamente dall'azienda alla quale inerisce.
L'insegna è un segno nominativo o emblematico che vale ad individuare i locali in cui è esercitata l'attività d'impresa (ad esempio, stabilimenti, magazzini, negozi, ecc.). Come la ditta, anche l'insegna deve presentare i caratteri, oltre che della liceità, della veridicità (cioè non deve trarre in inganno il pubblico circa l'attività o i prodotti), della originalità (deve cioè essere dotata di capacità distintiva) e della novità. Sussistendo i detti requisiti, l'insegna è tutelata alla stregua della ditta (art. 2568 c.c.) e, come quest'ultima, non può essere trasferita separatamente dall'azienda.
Il marchio rappresenta il segno distintivo dei prodotti e delle merci. Esso può consistere tanto in un emblema quanto in una denominazione o in un segno, purché presenti carattere distintivo. Affinché il marchio riceva tutela giuridica, deve presentare alcuni requisiti di validità:

  • deve essere originale e non generico;

  • veritiero;

  • rispondere al carattere della novità;

  • non contrario alla legge e al buon costume.

Il marchio riceve tutela sia sul piano nazionale che internazionale (c.d. marchio internazionale e c.d. marchio comunitario). Sul piano del diritto interno, la relativa disciplina è posta:

  • dal codice civile (artt. 2569-2574 c.c.);

  • dal Codice della Proprietà Industriale (CPI; artt. 7-28 del D.lgs. n.30/2005).

La normativa posta dal codice civile riconosce un diritto esclusivo di utilizzazione del marchio mediante la registrazione dello stesso (art. 2569 c.c.). Gli effetti della registrazione decorrono a partire dal deposito della domanda (art. 15 CPI) e durano 10 anni. E' tuttavia possibile la rinnovazione della registrazione dello stesso marchio, con riguardo allo stesso genere di prodotti o di servizi, per successivi periodi di 10 anni.
L'imprenditore può conseguire il diritto all'uso del marchio anche in assenza della registrazione, attraverso il riconoscimento del c.d. marchio di fatto. Ai sensi dell'art. 2571 "chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui se ne è anteriormente avvalso".
Nella concreta pratica commerciale esistono diversi tipi di marchi:

  1. marchi di fabbrica = sono quelli apposti dal fabbricante;

  2. marchi di commercio = sono quelli apposti dal rivenditore in quale non può, in ogni caso, sopprimere quelli del produttore;

  3. marchi di prodotto = sono quelli destinati a contraddistinguere le merci;

  4. marchi di servizio = sono quelli idonei a contraddistinguere determinati servizi che un'impresa rende ad altri soggetti;

  5. marchi generali = se un'impresa utilizza un unico marchio per tutti i suoi prodotti;

  6. marchi speciali = se un'impresa utilizza più marchi per differenziare i vari prodotti della stessa;

  7. marchi collettivi = hanno la funzione di garantire che il prodotto soddisfi determinati requisiti di origine, natura e qualità. Vengono usati da più imprese che trattano prodotti uguali o simili, le quali, attraverso il marchio utilizzato, vogliono attestare sul mercato le caratteristiche dei loro prodotti.

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