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13. Il procedimento minorile

IL PROCEDIMENTO MINORILE

E’ caratterizzato dall’esigenza di individuare una risposta diversificata al reato, secondo la personalità del minore e della finalità di favorire il suo reinserimento nella società.

In tale procedimento vanno evidenziate:

  • la specializzazione del giudice minorile, relativamente alle sue funzioni e alla sua composizione c.d. mista, atta a garantire la legalità del procedimento e la giusta valutazione della personalità del minore;

  • la specializzazione del P.M., assicurata dall’esistenza di un apposito ufficio presso il Tribunale;

  • la specializzazione della sezione di P.G., istituita alle dipendenze del P.M.;

  • la specializzazione dei servizi minorili dell’amministrazione della giustizia e la tendenziale qualificazione del difensore d’ufficio.

 

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LA LIBERTA’ PERSONALE

L’arresto ad opera della P.G. in flagranza di reato è sempre facoltativo e mai obbligatorio, bisogna valutare età e personalità. La soglia che fa scattare la facoltà di arresto è il limite di anni 9 di pena edittale, comune anche alle ipotesi del fermo e della custodia cautelare, per il fermo però si richiede un limite edittale minimo non inferiore a 2 anni. Quando il minore è colto nella flagranza di un delitto non colposo per il quale è prevista una pena inferiore a 9 anni, la P.G. può disporre l’accompagnamento nei propri uffici del minore, il tempo necessario alla sua consegna all’esercente la potestà, entro 12 ore.

La disciplina delle misure cautelari è dettata da criteri di adeguatezza e gradualità, in relazione all’attività di lavoro, studio o altrimenti educative del minorenne, e sono subordinate alla ricorrenza di gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari; su tutti i profili domina il favor minoris, le misure si distinguono in misure detentive (custodia cautelare) o ontologicamente non detentive (affidamento ai servizi minorili, permanenza in casa, collocamento in comunità).

 

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GLI SCHEMI PROCEDIMENTALI

La vicenda procedurale può seguire lo schema ordinario "udienza preliminare-dibattimento" o gli schemi semplificati ridotti al giudizio immediato, abbreviato o direttissimo. Il giudice può assolvere una funzione di intermediazione tra minore e genitori, dovendo sollecitarne l’intervento nell’interesse del minore.

Il decreto sicurezza (L. n.125/2008) impone al P.M. che non possa adire al giudizio direttissimo o immediato, nel caso in cui ciò possa pregiudicare gravemente le esigenze educative del minore. A causa della mancanza di piena maturità, non sono contemplati patteggiamento e decreto penale.

 

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LA DECISIONE

Il G.U.P. può emanare sentenza di non luogo a procedere o decreto di rinvio a giudizio, il giudice dibattimentale può emanare sentenza di assoluzione o condanna, inoltre è prevista:

  • la declaratoria di improcedibilità per irrilevanza del fatto, quando questo appaia privo di significato criminoso per la tenuità delle conseguenze prodotte e per l’occasionalità del comportamento deviante, la pronuncia può avvenire sia nelle indagini preliminari, su richiesta del P.M., che in udienza preliminare o in dibattimento, anche al termine della sua celebrazione.

  • la c.d. probation processuale, quando il giudice ritiene essenziale la valutazione della personalità del minore, egli sospenderà il corso del processo per una durata predeterminata, che serva a promuovere la riparazione delle conseguenze del reato e la riconciliazione con la vittima del reato. In caso di esito favorevole della probation, il giudice in apposita udienza dichiara l’estinzione del reato.

  • l'applicazione di sanzioni sostitutive, allorché in concreto non supererebbero i 2 anni, in luogo della reclusione e dell’arresto il giudice può applicare la semidetenzione o libertà controllata, quando queste meglio corrispondano alla personalità e alle esigenze educative o di vita del minore. Questa decisione può essere presa in udienza preliminare o dibattimentale, nel corso del rito ordinario o d i quello speciale, in ogni caso al minore spetta la riduzione della pena per l’attenuante della minore età.

Il procedimento minorile può essere soggetto dall’inizio ad archiviazione se non viene promossa l’azione penale, inoltre può concludersi in udienza preliminare con sentenza di non luogo a procedere del G.U.P. collegiale se sussiste una causa che estingue il reato o per la quale non doveva essere iniziata o proseguita l’azione penale, se il fatto non è previsto dalla legge come reato, ovvero se risulta che il fatto non sussiste o che l’imputato non l’ha commesso o che il fatto non costituisce reato o che si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa (art. 425 c.p.p.), con la concessione del perdono giudiziale in udienza preliminare o dibattimentale (è una causa di estinzione del reato che si applica solamente ai minori degli anni diciotto). L'art. 169 c.p. stabilisce che il giudice può astenersi dal pronunciare il rinvio a giudizio o dal pronunciare condanna e concedere il perdono se ritiene di dover applicare una pena restrittiva della libertà personale non superiore nel massimo a due anni, ovvero una pena pecuniaria non superiore nel massimo a 1.549,37 Euro quando, avuto riguardo alle circostanze indicate nell'art. 133 c.p., presume che il minore si asterrà dal commettere ulteriori reati. Nella commisurazione della pena, il giudice deve tenere conto anche della circostanza della minore età. Perciò, la concessione del perdono giudiziale presuppone un giudizio prognostico sul futuro comportamento del minore e quindi la convinzione da parte del giudice che la mancata irrogazione della pena sia un contributo al recupero sociale dello stesso. Il perdono giudiziale non può essere concesso a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto (anche se è intervenuta la riabilitazione, né al delinquente o contravventore abituale o professionale) con la sentenza di condanna a pena diminuita o sostitutiva nell’udienza preliminare, con una ordinaria sentenza di assoluzione o condanna nel merito o di non doversi procedere nell’udienza dibattimentale.

L'art. 97 c.p. dispone che non è imputabile chi, al momento del fatto, non aveva compiuto i 14 anni. A tale fine, il D.P.R. n.448/1988, ha previsto all'art. 26 che in ogni stato e grado del procedimento il giudice, quando accerta che l'imputato è minore degli anni 14, pronuncia, anche d'ufficio, sentenza di non luogo a procedere trattandosi di persona non imputabile. Questa norma ha dato luogo a numerosi dubbi interpretativi, a causa della possibilità di emettere sentenza di non luogo a procedere anche nella fase delle indagini preliminari. Invece, l'art. 98 c.p., subordina l'imputabilità del minore ultraquattordicenne alla valutazione della capacità di intendere e di volere. Esso stabilisce che è imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i 14 anni, ma non ancora i 18, se aveva capacità d'intendere e di volere, ma la pena è diminuita. La capacità d'intendere e di volere del minore non può essere presunta, ma deve essere dimostrata nel caso concreto con ogni mezzo di prova, mediante una valutazione globale della personalità del minore. Così è stato stabilito da una decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione: "la capacità d'intendere e di volere del minore, che abbia compiuto i 14 anni ma non ancora i 18 anni, non è presunta come per l'imputato maggiorenne, ma dev'essere obbligatoriamente accertata, a pena di nullità, in concreto e con riferimento al singolo episodio criminoso dal giudice di merito, il cui convincimento costituisce un apprezzamento di fatto insindacabile in Cassazione se sorretto da adeguata motivazione, esente da vizi logici e giuridici. Il concetto d'incapacità d'intendere e di volere di cui all'art. 98 c.p. è diverso da quello indicato nell'art. 85 c.p. per l'imputato adulto. Esso si fonda sul concetto di maturità, avente natura psicologica, e contenuto ampio. La maturità del minore, si ricava non soltanto dallo sviluppo intellettivo dello stesso, ma anche dalla sua capacità di determinarsi e di capire il significato delle sue azioni, dalla capacità di valutare il carattere morale, e le conseguenze del fatto".

Perciò, la valutazione della capacità di intendere e di volere del minore si risolve in un giudizio di natura psicologica che deve tenere in considerazione tutti gli elementi di natura familiare, morale, culturale e ambientale rilevanti per la sua determinazione. A questo fine, può essere utile per il giudice considerare anche la gravità del reato commesso. La Cassazione a questo proposito ha stabilito che: "il giudice non è tenuto a nominare un perito per accertare la capacità di intendere e di volere del minore infradiciottenne, potendola accertare con altri mezzi e potendosi basare per tale accertamento sulla natura del reato, sulle modalità del fatto delittuoso, sul contegno del minore nel corso dell'impresa criminosa e durante il processo. Poiché la capacità d'intendere e di volere non può essere presunta, ma deve essere dimostrata, in caso di dubbio sulla sua sussistenza il minore deve essere dichiarato non imputabile. Inoltre, la mancanza di capacità d'intendere e di volere nel processo minorile non ha niente a che vedere con l'esistenza di una causa d'infermità mentale. Infatti, il concetto d'infermità mentale è ulteriore e diverso da quello d'immaturità. Pertanto, il loro accertamento deve essere oggetto d'indagine specifica. Di conseguenza quando sia accertata la presenza al momento della commissione del fatto di un vizio totale di mente, il minore deve essere assolto, a norma dell'art. 88 c.p."

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