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7. Il diritto di famiglia

IL DIRITTO DI FAMIGLIA

Comprende l’insieme delle norme che hanno per oggetto gli status familiari (coniuge, padre, figlio, ecc.) e i rapporti giuridici che si riferiscono alle persone che costituiscono la famiglia. Le relazioni che sorgono in tale ambito presentano caratteri del tutto particolari in quanto il diritto di famiglia, più che tutelare l’interesse individuale dei singoli componenti, prende in considerazione l’interesse superiore dell’intero gruppo familiare. Il diritto di famiglia si distacca dalle rimanenti branche del diritto privato in quanto tutela un interesse collettivo e non un interesse del singolo ed è regolato da numerose norme di ordine pubblico (dopo matrimonio si debbono accettare in toto le norme che lo caratterizzano); le norme che fanno capo a tale diritto sono spesso prive di sanzione, si parla nel diritto di famiglia di rapporti costituiti da diritti-doveri reciproci e di uguale contenuto (ad esempio, educazione dei figli).

Dai rapporti familiari derivano, in capo ai componenti della famiglia, dei diritti soggettivi che presentano caratteristiche del tutto particolari, tali diritti sono assoluti, indisponibili, imprescrittibili, personalissimi, oggetto di una particolare tutela penale e di ordine pubblico.

Con la L.n.151/1975, il legislatore, rifacendosi al principio di uguaglianza tra coniugi, ha modificato la disciplina relativa ai rapporti familiari, abrogando numerose disposizioni del codice civile in aperto contrasto con la costituzione. Punti fondamentali della riforma sono:

  • la completa parità giuridica tra coniugi; 

  • il riconoscimento ai figli naturali riconosciuti di identici diritti successori rispetto ai figli legittimi; 

  • un più incisivo intervento del giudice nella vita della famiglia; 

  • la scomparsa dell’istituto della dote e del patrimonio familiare; 

  • l’istituzione della comunione legale dei beni tra coniugi; 

  • l’introduzione della potestà genitoriale ad entrambi i genitori in luogo della patria potestà attribuita esclusivamente al padre; 

  • la qualifica di erede anziché usufruttuario ex lege conferita al coniuge superstite.


 

IL CONCETTO DI FAMIGLIA

Il codice civile non da una definizione di famiglia. La Costituzione (art. 29 Cost.) si limita ad affermare che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, quindi la famiglia è una formazione sociale fondata sul matrimonio, con i caratteri della esclusività, della stabilità e della responsabilità. I rapporti che legano tra loro i componenti sono il rapporto di coniugio, che lega marito e moglie, il rapporto di parentela, costituisce un legame di sangue tra persone che discendono da comune capostipite, riconosciuto fino al sesto grado. Il grado di parentela si calcola contando le persone fino allo stipite comune senza calcolare il capostipite, quindi:

  • i fratelli sono parenti di secondo grado: fratello, padre (non si conta), fratello; 

  • i cugini sono parenti di quarto grado: cugino, zio, nonno (non si conta), zio cugino.

Si distingue inoltre tra:

  • parentela in linea retta (padre e figlio);

  • parentela in linea collaterale (pur avendo uno stipite in comune, non discendono le une dalle altre come i fratelli);

  • rapporto di affinità (che lega tra loro il coniuge ed i parenti dell’altro coniuge; nessun rapporto lega invece gli affini di un coniuge con quelli dell’altro coniuge).

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LA FAMIGLIA DI FATTO

Dalla famiglia fondata sul matrimonio, o famiglia legittima, si distingue la c.d. famiglia naturale o di fatto, costituita da persone di sesso diverso che convivono more uxorio. Per la famiglia di fatto non esiste un’espressa regolamentazione, esistono solo una serie di norme di recente emanazione, sporadiche e prive di coordinamento, che attribuiscono isolati effetti giuridici. La Corte Costituzionale pur affermando costantemente che l’unione libera, per quanto diffusa, non è un fenomeno che può rientrare nella previsione di cui all’art. 29 Cost., ha comunque sostenuto che l’art. 2 Cost., che si riferisce alla tutela dei diritti delle persone anche nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, comprende anche le convivenze di fatto, purchè caratterizzate da un certo grado di stabilità. In ordine alla rilevanza giuridica della famiglia di fatto vanno considerati tre aspetti: 

  • i rapporti tra i conviventi di fatto, che non hanno diritti e doveri reciproci alla coabitazione, all’assistenza morale e materiale, alla fedeltà così come tra i coniugi (la reciproca assistenza materiale è considerata adempimento di un’obbligazione naturale); 

  • i rapporti tra genitori e figli, sono equiparati a quelli intercorrenti nella famiglia legittima, in particolare i genitori hanno il diritto e l’obbligo di mantenere, istruire ed educare i figli nati fuori dal matrimonio (art. 30 Cost.); 

  • i rapporti con i terzi, il familiare di fatto ha diritto al risarcimento dei danni non solo morali, ma anche patrimoniale nei confronti del terzo che abbia illecitamente causato la morte del convivente.

A seguito della L. n.76/2016, nell'ordinamento italiano è stata introdotta la normativa sulla c.d. unioni civili. La legge disciplina le unioni civili e le convivenze di fatto, dove:

  • per unioni civili si intendono specifiche formazioni sociali costituite da persone maggiorenni dello stesso sesso;

  • con il termine convivenze di fatto, invece, si fa riferimento a tutte le coppie formate da due persone maggiorenni (sia etero che omosessuali) non legate da vincoli giuridici ma da un legame affettivo e che possono regolare i propri rapporti patrimoniali attraverso un "contratto di convivenza".

Le maggiori novità riguardano soprattutto le unioni civili tra persone dello stesso sesso, nel dettaglio:

  • si costituisce tra persone dello stesso sesso con una dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile, alla presenza di due testimoni, e va registrata nell'archivio dello stato civile;

  • i partner acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri: hanno l'obbligo reciproco all'assistenza morale e materiale, alla coabitazione ed entrambi sono tenuti a contribuire ai bisogni comuni, in base alle proprie possibilità;

  • entrambi concordano l'indirizzo della vita familiare e la residenza comune, esattamente come avviene per le coppie sposate;

  • in assenza di indicazioni diverse, si applica la comunione dei beni;

  • se l'unione dovesse cessare, le parti hanno diritto all'eredità, alla pensione di reversibilità e al mantenimento;

  • la separazione avviene davanti all'ufficiale di stato civile, quando le parti ne manifestano la volontà (anche disgiunta).

Invece, le principali novità per i conviventi di fatto (sia etero che omosessuali) sono:

  • i conviventi assumono solo alcuni dei diritti e dei doveri riconosciuti alle coppie sposate: l'assistenza ospedaliera, penitenziaria e gli alimenti a fine convivenza (nel caso in cui uno dei due non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento);

  • se il proprietario della casa di comune residenza dovesse morire, il convivente avrebbe diritto a continuare ad abitare nella stessa casa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore ai due anni e comunque non oltre i cinque anni;

  • se l'intestatario del contratto di affitto della casa di comune residenza dovesse morire o dovesse recedere, il convivente di fatto può subentrare nel contratto;

  • i conviventi possono scegliere di gestire i propri rapporti patrimoniali con un "contratto di convivenza" e quindi indicare la residenza, le modalità di contribuzione alla vita comune, la comunione dei beni (voce che può comunque essere modificata in qualunque momento);

  • oltre che in caso di morte o di matrimonio, la convivenza si risolve per accordo delle parti o per volontà unilaterale.

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IL REGIME PATRIMONIALE DI FAMIGLIA

E’ costituito dalla comunione dei beni, anche se la legge ammette che mediante un’apposita convenzione i coniugi possano accordarsi per la separazione dei beni, di comunione convenzionale ovvero per la costituzione di un fondo patrimoniale. L’autonomia dei coniugi incontra i seguenti limiti: il divieto di derogare ai diritti e ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio e il divieto di costituzione della dote

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LE CONVENZIONI MATRIMONIALI

Le parti posso derogare al regime legale di comunione mediante la stipula della convenzione matrimoniale, mediante atto pubblico a pena nullità che può essere stipulata in ogni tempo ed è in qualsiasi momento modificabile.

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LA COMUNIONE LEGALE

Costituiscono oggetto della comunione: 

  • gli acquisti compiuti insieme o separatamente durante il matrimonio; 

  • i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione; 

  • i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se allo scioglimento della comunione non sono stati consumati; 

  • le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio; 

  • i beni destinati e gli incrementi derivanti dall’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi.

Non cadono in comunione e sono beni personali di ciascun coniuge:

  • i beni acquistati dal coniuge prima del matrimonio; 

  • i beni acquistati dopo per effetto di donazione o successione; 

  • i beni di uso strettamente personale; 

  • i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge; 

  • i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno.

L’amministrazione del patrimonio in comunione spetta ad entrambi i coniugi in applicazione del principio di uguaglianza. La comunione si scioglie in presenza delle seguenti cause: morte di uno dei coniugi, sentenza di divorzio, dichiarazione di assenza o morte presunta di uno dei coniugi, annullamento del matrimonio. La separazione giudiziale dei beni può essere ottenuta in caso di interdizione di uno dei coniugi, in caso di cattiva amministrazione, quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni della famiglia. La divisione dei beni si effettua ripartendo in parti uguali l’attivo e il passivo.

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I REGIMI PATRIMONIALI

La comunione convenzionale può escludere alcuni beni dalla comunione e includere dei beni che non sarebbero compresi nella comunione legale: i coniugi con espressa convenzione, possono pattuire che ciascuno conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio e in caso di separazione, se la titolarità non è provata, i beni si considerano di proprietà indivisa per pari quota per entrambi i coniugi.

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L’IMPRESA FAMILIARE

La riforma del diritto di famiglia ha introdotto l’istituto dell’impresa familiare, che è quella in cui prestano attività di lavoro continuativa il coniuge dell’imprenditore, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo, questi acquisiscono il diritto al mantenimento e il diritto di partecipazione agli utili dell’impresa familiare.

 

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IL MATRIMONIO

L’art. 29 Cost. riconosce il matrimonio come fondamento della famiglia. Il matrimonio è l’atto che ha per effetto la costituzione dello stato coniugale e per causa la comunione di vita materiale e spirituale tra i coniugi. La parola matrimonio può essere intesa in due sensi, come atto giuridico (atto costitutivo della famiglia) e come rapporto giuridico.

Il matrimonio come atto giuridico può essere regolato dal diritto civile ovvero dal diritto canonico; l’accordo tra Stato e Chiesa (nuovo Concordato del 1984) consente ai cittadini la libera scelta tra matrimonio civile, celebrato davanti all’Ufficiale di Stato civile e matrimonio concordatario, celebrato davanti al Ministro di culto cattolico, secondo la disciplina del diritto canonico. Il matrimonio celebrato dal Ministro di culto acattolico è considerato matrimonio civile.

Il matrimonio come rapporto giuridico è regolato unicamente dal diritto civile e una volta scelta liberamente la forma di celebrazione, la società coniugale rimane disciplinata dalle leggi civili.

Vi sono diverse teorie per la natura giuridica del matrimonio: 

  • una teoria pubblicistica, per la quale il matrimonio è un atto amministrativo emanato dall’ufficiale di stato civile; 

  • una teoria contrattuale, sostenuta dai canonisti, per i quali il matrimonio è contemporaneamente un sacramento ed un contratto tra le parti; 

  • una teoria negoziale, per la quale il matrimonio è un negozio giuridico bilaterale, perfezionata col consenso dei nubendi; 

  • una teoria della fattispecie complessa, per la quale il matrimonio è una fattispecie particolare, in cui intervengono tre soggetti (nubendi e ufficiale) che da luogo da un lato ad un negozio giuridico bilaterale, dall’altro ad un atto amministrativo.

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LA PROMESSA DI MATRIMONIO

L’ordinamento giuridico tutela la libertà matrimoniale, sicchè la promessa di prendersi reciprocamente come marito e moglie. La promessa non è giuridicamente vincolante, in quanto non obbliga a contrarre matrimonio, tuttavia la legge tiene in considerazione la situazione di chi ha sostenuto spese e assunto obblighi, quindi se la promessa risulta da atto scritto o dalla richiesta delle pubblicazioni, se il promittente si rifiuta di sposarsi senza giusta causa è obbligato a risarcire il danno.

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CONDIZIONI PER LA CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO

Occorre la presenza dei seguenti requisiti: 

  • il raggiungimento dell’età minima di 18 anni, che con decreto del Tribunale può essere abbassata a 16 anni; 

  • la sanità mentale, per cui l’interdetto giudiziale non può contrarre matrimonio; 

  • la mancanza di un vincolo di matrimonio, salvo che il precedente sia stato annullato o sciolto.

E’ necessaria inoltre l’assenza di circostanze ostative, ossia gli impedimenti dirimenti in presenza dei quali il matrimonio contratto è nullo e sono: l’esistenza di vincoli di parentela o affinità tra gli sposi, tra ascendenti in linea retta, legittimi o naturali, tra fratelli e sorelle siano essi germani (figli degli stessi genitori), consanguinei (figli dello stesso padre), uterini (figli della stessa madre), tra zii e nipoti salvo dispensa, tra affini in linea retta (suocero e nuora) e tra cognati, salvo dispensa da parte del Tribunale. Il c.d. impedimentum criminis vieta il matrimonio tra il condannato per tentato o consumato omicidio ed il coniuge della vittima.

Gli impedimenti impedienti invece rendono solo irregolare il matrimonio che resta valido ma con una sanzione per gli sposi e sono: la mancanza del decorso del tempo che va sotto il nome di lutto vedovile per cui la donna non può contrarre matrimonio prima di 300 giorni dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio (tale divieto tende ad impedire che nascano figli generati nel primo matrimonio dopo le nozze del secondo) e l’omissione di pubblicazione salvi i casi di esonero concessi dal Tribunale per motivi gravissimi e di matrimonio celebrato in imminente pericolo di vita.

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LA CELEBRAZIONE DEL MATRIMONIO

Il matrimonio costituisce una fattispecie a forma progressiva composta dai seguenti atti:

  • la pubblicazione (che precede la celebrazione vera e propria), che consiste nell’affissione alla porta della casa comunale di residenza dei due nubendi, per un periodo di tempo di almeno 8 giorni consecutivi, di un atto in cui siano indicate le complete generalità degli sposi ed il luogo dove intendono sposarsi e la sua funzione è quella di portare tutti a conoscenza dell’intenzione dei nubendi di contrarre matrimonio, affinchè chi ne abbia interesse possa fare opposizione.

  • la celebrazione, avviene pubblicamente dinanzi all’ufficiale civile alla presenza di due testi, i nubendi non possono opporvi ne condizioni ne termini, è ammessa la celebrazione per procura se uno degli sposi risiede all’estero, in tempo di guerra per i militari.

  • la prova, che può essere data solo con l’atto di celebrazione, estratto dai registri dello stato civile, solo tale atto attribuisce lo status di coniuge.

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INVALIDITA’ DEL MATRIMONIO

  • Irregolarità, avviene nei casi di impedimenti impedienti e quindi per l’ipotesi di inosservanza del divieto di nozze prima che sia trascorso il periodo di lutto vedovile e violazione delle norme sulla pubblicazione.

  • Inesistenza, quando nella fattispecie manchi anche quel minimo di elementi necessari, come la mancanza della celebrazione, quando il matrimonio è celebrato tra persone dello stesso sesso e quando manca il consenso degli sposi.

  • Nullità, per i casi più gravi come il matrimonio contratto sotto violenza fisica, per il quale non è prevista sanatoria e la legittimazione è accordata a chiunque ne abbia interesse ed

  • Annullabilità, che può essere relativa (si prescrive nel termine di 10 anni, la legittimazione è accordata solo ad alcune persone determinate e prevede la possibilità di sanatoria) o assoluta (si prescrive nel termine di 10 anni, la legittimazione è accordata a chiunque ne abbia interesse e prevede la possibilità di sanatoria).

I casi di invalidità possono essere corrispondenti agli impedimenti matrimoniali, ovvero il vincolo di precedente matrimonio (nullità assoluta e insanabile), il vincolo di parentela ad affiliazione (nullità assoluta e insanabile), impedimentum criminis (nullità assoluta e insanabile), violazione dei limiti di età previsti (annullabilità relativa e sanabile), interdizione (annullabilità relativa e sanabile), incapacità di intendere e volere (annullabilità relativa e sanabile).

I casi di invalidità possono essere corrispondenti inoltre ai vizi del consenso e possono essere: la violenza morale esercitata su uno dei coniugi e l’errore che cade sull’identità dell’altro coniuge o su qualità personali dello stesso; nel dettaglio: 

  • Violenza (art. 122 c.c.): il matrimonio può essere impugnato dal coniuge il cui consenso sia stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo.

  • Errore (art. 122 c.c.): definito essenziale quando si accerti che il coniuge non avrebbe prestato il consenso se fosse stato a conoscenza di determinate condizioni dell’altro coniuge come malattie croniche, delinquenza abituale e stato di gravidanza altrui.

  • Simulazione (art. 123 c.c.): solo quando i coniugi abbiano deciso di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti discendenti, entro un anno.

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IL MATRIMONIO PUTATIVO

L’annullamento del matrimonio produce effetti retroattivi, pertanto i coniugi riacquistano il loro stato di libertà. Si ha matrimonio putativo quando almeno uno dei coniugi ha in buona fede contratto un matrimonio successivamente dichiarato invalido, reputandolo valido. Se il matrimonio è stato contratto in buona fede, sono fatti salvi tutti gli effetti nel frattempo prodottisi, anche rispetto ai figli nati o concepiti durante il matrimonio, nel caso di malafede, questo ha gli effetti del matrimonio valido, rispetto ai figli nati o concepiti durante lo stesso, tranne i casi di bigamia o incesto.

 

IL MATRIMONIO CANONICO CON EFFETTI CIVILI

Al fine di far conseguire effetti civili al matrimonio religioso, la normativa statuale predispone un collegamento tra celebrazione canonica ed ordinamento statale, che si attua mediante un procedimento amministrativo. Le attività poste in essere sono:

  • le pubblicazioni, affisse alla porta della chiesa e del comune; 

  • eventuali opposizioni, qualora non siano presenti l’ufficiale deve rilasciare un certificato, qualora ci siano decide il tribunale civile; 

  • celebrazione, avviene secondo la disciplina canonica alla presenza del sacerdote competente che leggerà gli articoli del codice civile che stabiliscono diritti e doveri dei coniugi; 

  • trascrizione, deve essere compiuta dall’ufficiale entro 24 ore dal ricevimento dell’atto di matrimonio.

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IL MATRIMONIO COME RAPPORTO GIURIDICO

Art. 29 Cost.: il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, che acquistano gli stessi diritti ed assumono gli stessi doveri, i più importanti sono:

  • la coabitazione, che consiste nella normale convivenza di marito e moglie e cioè nella comunione di casa e di vita sessuale, tale obbligo viene meno in caso di separazione, mentre la sua violazione è determinata dall’allontanamento senza giusta causa dalla casa coniugale;

  • la fedeltà, che consiste nell’obbligo per i coniugi di astenersi da rapporti sessuali con altra persona, l’inosservanza di esso è privo di rilevanza penale; 

  • l’assistenza, ciascun coniuge deve far fronte alle esigenze anche materiali dell’altro allorchè questi non è in grado di provvedervi; 

  • la collaborazione, nell’interesse della famiglia, la contribuzioni ai beni della famiglia e l’obbligo di mantenere istruire ed educare la prole.

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SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO

Le cause di scioglimento del matrimonio sono: la morte di uno dei coniugi, la dichiarazione di morte presunta, il divorzio e la sentenza di rettificazione di attribuzione del sesso. La morte costituisce il caso tipico di scioglimento del vincolo matrimoniale.

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IL DIVORZIO

Il divorzio è ammissibile solo quando il giudice, esperito inutilmente il tentativo di conciliazione dei coniugi, accerta che la comunione spirituale e materiale non può essere mantenuta o ricostruita. Vi sono della cause tassative di cui far conto: 

  • quando sia stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale tra coniugi e siano trascorsi almeno tre anni dalla comparizione innanzi al giudice; 

  • quando un coniuge sia condannato all’ergastolo o a pena detentiva per reati di particolare gravità; 

  • quando uno dei coniugi abbia ottenuto all’estero l’annullamento del matrimonio; 

  • quando il matrimonio non sia stato consumato.

La sentenza del divorzio produce lo scioglimento del matrimonio con conseguente possibilità di contrarre nuovo matrimonio e la moglie perde il cognome del marito. Quanto agli effetti patrimoniali, dal divorzio discende la perdita dei diritti successori, lo scioglimento della comunione legale e l’obbligo per uno dei coniugi di corrispondere un assegno periodico all’altro, in proporzione alle proprie sostanze ed ai propri redditi.

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LA SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI

E’ la situazione di legale sospensione dei doveri reciproci dei coniugi e si differenzia dal divorzio in quanto non determina lo scioglimento del vincolo ed ha carattere transitorio. Per effetto della separazione cessano l’obbligo di coabitazione, l’obbligo di fedeltà mentre permangono l’obbligo di assistenza morale, l’obbligo di mantenimento e può essere di tre tipi:

  1. separazione di fatto: è l’interruzione della convivenza, senza l’intervento di alcun provvedimento del Tribunale ed è priva di effetti giuridici; 

  2. separazione consensuale: avviene per accordo delle parti e per aver efficacia deve essere omologata dal Tribunale; 

  3. separazione giudiziale: è quella pronunciata dal Tribunale, ad istanza di uno o di entrambi i coniugi, a seguito di fatti che rendano intollerabile la prosecuzione della convivenza o rechino grave pregiudizio all’educazione della prole.

Per quanto riguarda i provvedimenti relativi ai figli, vi è il principio di affidamento condiviso, visto il diritto del figlio alla bigenitorialità. Il mantenimento diretto prevede che ciascuno dei genitori provveda al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito.

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GLI ALIMENTI

Fra le obbligazioni di carattere patrimoniale che possono nascere nell’ambito familiare assume particolare importanza l’obbligazione degli alimenti. Fondamento di tale obbligazione è il diritto all’assistenza materiale della persona priva di mezzi e che prima veniva mantenuta dalla famiglia. E’ un principio derivante dalla solidarietà familiare, è un diritto personalissimo, non può essere oggetto di cessione, di compensazione, non può essere sottoposto ad esecuzione forzata, è intrasmissibile, irrinunciabile ed imprescrittibile.

Sono presupposti dell’obbligazione degli alimenti un rapporto di parentela, affinità, adozione o un’intervenuta donazione, tra alimentato e alimentando, lo stato di bisogno dell’avente diritto accompagnato dall’impossibilità al proprio mantenimento, la capacità economica dell’obbligato. Occorre quindi che l’alimentante abbia possibilità di prestare gli alimenti e le sue capacità economiche devono perciò essere superiori a ciò che occorre per soddisfare le esigenze primarie sue e della sua famiglia. Quanto alla misura, gli alimenti devono essere assegnati in proporzione al bisogno di chi li comanda e alle condizioni economiche di chi li deve somministrare, non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto riguardo alla sua posizione sociale. La scelta circa il modo di somministrazione è rimessa all’obbligato, il quale può pagare un assegno periodico anticipato ovvero accogliere presso di se l’alimentando e provvedere al suo sostentamento. L’autorità giudiziaria può disporre il modo di somministrazione e nei casi previsti obbligare anche uno solo tra quelli obbligati, inoltre finché non ci sia accordo sul modo, può disporre un assegno preliminare. Tenute agli alimenti sono le persone legate da vincolo di parentela o adozione o affinità con l’alimentando, fra queste esiste un ordine gerarchico a seconda dell’intensità del vincolo, da tale obbligazione è escluso chi ha ricevuto una donazione a causa di matrimonio e chi ha ricevuto una donazione remuneratoria. L’obbligo agli alimenti può essere assunto anche con contratto, l’obbligo volontario può derivare anche da testamento, il c.d. legato alimentare.

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LA FILIAZIONE

Si intende il rapporto tra genitore e le persone da lui procreate, si distingue tra figli legittimi (in costanza di matrimonio), figli naturali e adulterini (fuori dal matrimonio), figli incestuosi (tra parenti o affini).

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LO STATUS DI FIGLIO LEGITTIMO

E’ legittimo il figlio partorito da donna sposata, generato dal marito in seguito a concepimento avvenuto in costanza di matrimonio. In base al principio che solo la madre è certa, per accertare che il figlio è stato concepito legittimamente dal marito ci si affida a due presunzioni, quella di paternità e la presunzione di concepimento durante il matrimonio, in base alla quale si ritiene concepito nel matrimonio il figlio nato non prima dei 180 giorni dalla sua celebrazione e non dopo 300 giorni dal suo scioglimento. Tale presunzione è assoluta, anche se in entrambi i casi si può reclamare lo status di figlio legittimo, qualora si dia prova di tale status. La maternità si prova con l’atto di nascita e il matrimonio tra genitori si prova col certificato di matrimonio, con tali documenti si prova lo status di figlio legittimo. Il figlio assume il diritto di essere educato istruito e mantenuto, di successione e agli alimenti, mentre ha il dovere di obbedienza ai genitori, l’assoggettamento alla potestà genitoriale e l’instaurazione di parentela coi parenti dei genitori.

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IL DISCONOSCIMENTO DELLA PATERNITA’

Si mira a far cadere la presunzione di paternità del marito ed è consentita solo nei casi in cui: 

  • i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso tra il 300esimo e il 180esimo giorno prima della nascita; 

  • se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza; 

  • se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la sua gravidanza e la nascita del figlio.

La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità; sono legittimati ad agire: il padre entro un anno dalla nascita, la madre entro sei mesi ed il figlio entro un anno dalla maggiore età.

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LA FILIAZIONE NATURALE

Sono figli naturali quelli nati da genitori non sposati tra di loro. Il figlio naturale riconoscibile è quello nato da persone che o non sono sposate o erano già unite in matrimonio con altra persona al momento del concepimento; il figlio naturale irriconoscibile è quello nato tra persone legate dal vincolo di parentela. Il riconoscimento consiste nella dichiarazione fatta da uno o da entrambi i genitori che una data persona è proprio figlio naturale, può essere fatto solo da chi abbia compiuto 16 anni, se avviene per un figlio ultrasedicenne, serve l’assenso di questi.

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STATUS DI FIGLIO NATURALE RICONOSCIUTO

E’ un dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli anche se nati fuori dal matrimonio (art. 30 Cost.); questi hanno gli stessi diritti patrimoniali dei figli legittimi, la legge assicura loro ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. Il riconoscimento è l’atto formale mediante il quale il dichiarante assume di essere genitore del proprio figlio nato al di fuori del matrimonio, può essere effettuato o nell’atto di nascita o con apposita dichiarazione posteriore alla nascita resa davanti all’ufficiale di stato civile.

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L’AZIONE PER LA DICHIARAZIONE GIUDIZIALE DI MATERNITA’ O PATERNITA’ NATURALE

Se i genitori non hanno riconosciuto il figlio naturale, questi può agire in giudizio per ottenere la dichiarazione giudiziale di maternità o paternità naturale ed è sempre esperibile nei casi in cui è ammesso il riconoscimento. La prova può essere data con ogni mezzo, la sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti col preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità naturale. Il figlio naturale può acquisire lo status di figlio legittimo attraverso la legittimazione, che avviene in due modi: per susseguente matrimonio o per provvedimento del giudice.

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LEGGE N.184/1983

Si definisce adozione il rapporto di filiazione giuridica costituito tra soggetti non legati da filiazione di sangue.

La L. n.184/1983 ha riformato l’istituto dell’adozione che in origine il Codice del 1942 prevedeva esclusivamente come mezzo per procurare una discendenza a chi non poteva avere figli; in particolare: 

  1. ha eliminato la distinzione tra adozione ordinaria ed adozione speciale, quest’ultima diretta non a procurare una discendenza, ma a garantire una sistemazione familiare ai minori abbandonati; 

  2. ha eliminato dal codice civile la disciplina dell’adozione dei minori che adesso è dettata soltanto nella legge speciale; 

  3. ha regolato la cd adozione internazionale, vale a dire quella riguardante i minori stranieri ed ha eliminato l’istituto dell’affiliazione, già regolato dal codice civile.

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ADOZIONE DEI MINORI

Gli artt. 6 e 7 della L. n.184/1983 richiedono requisiti soggettivi degli adottanti e del minore da adottare. 

Quelli relativi agli adottanti sono:

  • devono essere uniti in matrimonio da almeno tre anni e non deve aver avuto luogo tra gli stessi una separazione personale, neanche di fatto (il requisito della stabilità si configura anche quando i coniugi prima del matrimonio hanno convissuto in modo stabile per almeno tre anni); 

  • la loro età deve superare di almeno 18 e non oltre 45 anni l’età dell’adottando (tali limiti possono essere superati se il Tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non evitabile in altro modo per il minore); 

  • i coniugi devono essere effettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendono adottare.

I requisiti soggettivi dell’adottando:

  • l’adozione è consentita per tutti i minori, non essendo rilevante la loro età; 

  • il minore che abbia compiuto 14 anni deve prestare personalmente il proprio consenso all’adozione; 

  • il minore che ha compiuto 12 anni deve essere sentito, mentre se ha un età inferiore deve essere sentito in considerazione della sua capacità di discernimento; 

  • il minore deve essere dichiarato in stato di adottabilità. Lo stato di adottabilità presuppone una situazione di abbandono che si concreta nella mancanza di assistenza morale o materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, sussiste anche se il minore si trovi in istituti di assistenza o comunità, mancanza che non deve essere dovuta ad una causa di forza maggiore di carattere transitorio (è dichiarato dal Tribunale per i minorenni con sentenza emessa dalla camera di consiglio, sentito il P.M., il rappresentante dell’istituto, il tutore e il minore se ha compiuto 12 anni).

La segnalazione della situazione di abbandono può essere fatta da chiunque alla pubblica autorità, è invece obbligatoria per i pubblici ufficiali, gli incaricati di pubblico servizio e gli esercenti di pubblica necessità, nonché per chiunque abbia accolto un minore stabilmente per un periodo superiore a sei mesi presso la propria abitazione. I coniugi che intendono adottare un minore devono presentare domanda al Tribunale per i minorenni, il quale deve individuare la coppia maggiormente in grado di corrispondere alle necessità del minore, svolgendo indagini in merito ai requisiti richiesti. Il minore adottato acquista lo stato di figlio legittimo degli adottanti e ne assume il cognome, cessano i rapporti tra l’adottato e la famiglia d’origine, salvo i divieti matrimoniali.

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L’ADOZIONE INTERNAZIONALE

La L. n.476/1998 ha modificato profondamente le norme della L. n.184/1983 in materia di adozione di minori stranieri, istituendo una Commissione per le adozioni internazionali presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ed attribuendo importanti competenze ad enti senza scopo di lucro, iscritti in apposito albo.

Le persone residenti in Italia che intendono adottare un minore straniero residente all’estero, devono presentare dichiarazione di disponibilità al Tribunale per i minorenni e chiedere che lo stesso dichiari la loro idoneità all’adozione. Se il Tribunale non dispone dei requisiti richiesti, inoltra la domanda ai servizi socio-assistenziali degli enti locali, per le successive indagini. Ottenuta l’idoneità i coniugi devono conferire incarico presso un ente autorizzato che curerà le pratiche di adozione presso le competenti autorità del paese estero. L’adozione può essere disposta dalla competente autorità del paese estero; in questo caso la Commissione valutate le conclusione dell’ente incaricato, dichiara che l’adozione risponde all’interesse superiore del minore e ne autorizza l’ingresso e la residenza permanente in Italia, così il minore acquista la cittadinanza italiana. Se l’adozione deve perfezionarsi in Italia il Tribunale per i minorenni riconosce il provvedimento dell’autorità estera come affidamento preadottivo, decorso tale periodo, il Tribunale, sussistendone i presupposti, pronuncia l’adozione e la trascrizione nei registri civili.

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L’ADOZIONE DEI MAGGIORENNI

Riservata sostanzialmente a tutelare aspettative successorie, è permessa alle persone che abbiano compiuto i 35 anni e che superino di almeno 18 anni l’età di coloro che intendono adottare; per essa valgono le seguenti regole: 

  • i figli nati fuori dal matrimonio non possono essere adottati dai loro genitori; 

  • è ammessa l’adozione di più persone, anche con atti successivi; 

  • perché possa aversi l’adozione occorre il consenso dell’adottato e dell’adottante e l’assenso dei genitori dell’adottando e del coniuge dell’adottante e dell’adottando, se coniugati e non legalmente separati.

Il tribunale prima di provvedere alla domanda di adozione deve assumere le opportune informazioni sulla domanda di adozione, poi deve compiere un’indagine di legittimità sulla sussistenza delle condizioni volute dalla legge e di merito, sulla convenienza dell’adozione per l’adottando. A seguito di decreto, l’adottando assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio. Non nasce alcun rapporto tra la famiglia dell’adottato e dell’adottante, l’adozione non attribuisce alcun diritto di successione all’adottante, mentre l’adottato acquista i normali diritti successori spettanti ai figli legittimi.

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L’AFFIDAMENTO TEMPORANEO DI MINORI

Disciplinato dalla L. 184/1983, può farsi luogo all’affidamento quando il minore, nonostante gli interventi di sostegno e di aiuto alle famiglie previsti dalla legge, sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo. In sostanza la legge consente l’affidamento ogni volta che non si possa attuare il diritto del minore ad un’esistenza serena. Possono essere oggetto di affidamento tutti i minori che si trovino nel territorio dello Stato. La situazione che legittima l’affidamento deve essere temporanea e non duratura. Possono diventare affidatari di minori: un’altra famiglia, una persona singola o una comunità di tipo familiare.

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