2. Delitti contro Pubblica Amministrazione
DELITTI CONTRO LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - TITOLO II (artt. 314–360 c.p.)
Sono intesi sia i reati che ledono l’attività amministrativa dello Stato, sia quelli che ledono l’attività legislativa e quella giudiziaria. Oggetto giuridico della tutela dei delitti in esame è rimasto il regolare funzionamento e prestigio degli enti pubblici e dei soggetti che ad essi appartengono.
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PUBBLICO UFFICIALE (art. 357 c.p.)
Sono pubblici ufficiali, coloro i quali esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Agli stessi effetti è pubblica la funzione amministrativa, disciplinata da norme di diritto pubblico o da atti autoritativi, e caratterizzata dalla formazione e dalla manifestazione della volontà della P.A. o dal suo svolgersi per mezzo di poteri autoritativi o certificativi. L’elemento che caratterizza il P.U. è l’esercizio di una funzione pubblica. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno precisato che è pubblico ufficiale il pubblico dipendente o il privato, che nell’ambito dei poteri di diritto pubblico, può e deve formare e manifestare la volontà della P.A., anche senza investiture formali. E’ P.U. anche chi è chiamato a svolgere compiti aventi carattere accessorio o sussidiario, ai fini istituzionali degli enti pubblici
La dottrina prevede che possa considerarsi P.U. anche il c.d. funzionario di fatto, ovvero il soggetto che eserciti una pubblica funzione, pur senza una formale o regolare investitura, con tolleranza della P.A.
L’art. 322 c.p. opera un assimilazione ai P.U. qualora esercitino funzioni corrispondenti ai membri della Commissione delle Comunità europee, del Parlamento Europeo, della Corte di Giustizia e dei Conti delle comunità europee, i funzionari e gli agenti assunti a norma dello statuto dei funzionari delle Comunità europee, coloro che nell’ambito di altri Stati membri U.E. svolgono funzioni o attività corrispondenti ai P.U.
Sono inoltre equiparati ai P.U. i giudici, il procuratore, i procuratori aggiunti, i funzionari e agenti della Corte penale internazionale, le persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale, qualora esercitino funzioni corrispondente a quelle di agenti e funzionari della Corte Stessa.
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PERSONA INCARICATA DI PUBBLICO SERVIZIO (art. 358 c.p.)
Sono incaricati di pubblico servizio, coloro i quali, a qualunque titolo, prestano un pubblico servizio. Per pubblico servizio, deve intendersi un’attività disciplinata nelle stesse forme della pubblica funzione, ma caratterizzata dalla mancanza dei poteri tipici di quest’ultima e con esclusione dello svolgimento di semplici mansioni di ordine e della prestazione di opera meramente materiale.
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PERSONA ESERCENTE UN SERVIZIO DI PUBBLICA NECESSITA’ (art. 359 c.p.)
Sono i privati che esercitano professioni forensi , sanitarie o altre professioni, il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell’opera di essi, il pubblico sia per legge obbligato a valersi e i privati che non esercitando una pubblica funzione, ne prestando un pubblico servizio adempiono un servizio dichiarato di pubblica necessità mediante un atto della P.A. (è P.U. il sanitario che eserciti le funzioni di ufficiale sanitario di un comune). Il pubblico servizio presuppone una vera e propria concessione amministrativa, mentre il servizio di pubblica necessità esige un’autorizzazione amministrativa. Per concretizzarsi il reato associato a queste figure, è necessario che vi sia l’elemento della contestualità, nel senso che il fatto deve essere commesso contestualmente all’esercizio della funzione, la finalità, nel senso che tra fatto e funzione, vi deve essere un nesso finalistico e causalità, nel senso che il fatto deve verificarsi a causa dell’esercizio della funzione o del servizio.
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PECULATO (artt. 314–3232bis c.p.)
Il P.U. o l’incaricato di pubblico servizio (soggetto attivo) che avendo per ragione del suo ufficio o del suo servizio, il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui (oggetto materiale), se ne appropria. Il reato non è configurabile se l’oggetto del reato sia di valore estremamente esiguo, inoltre di tale denaro e cosa mobile, il soggetto ne deve avere il possesso o comunque la disponibilità per ragione del suo ufficio o servizio. Il fatto materiale, consiste nell’appropriarsi del denaro o della cosa mobile, il delitto si consuma nel momento in cui ha luogo l’appropriazione della res, la quale anche quando non arreca danno patrimoniale alla P.A. è comunque lesiva dell’interesse tutelato. E’ inammissibile il tentativo in quanto la condotta del reo può consistere in più atti.
Il dolo del reato è generico, consistendo nella coscienza e volontà dell’appropriazione, il reato è aggravato nel caso di danno patrimoniale di rilevante gravità, mentre è attenuato per particolare tenuità. La pena per il peculato è da 4 a 10 anni, interdizione perpetua dai pubblici uffici, se la pena è inferiore a 3 anni per le attenuanti, l’interdizione è temporanea.
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PECULATO D’USO (art. 314 comma 2 c.p.)
Si ha quando l’agente si appropria della cosa, al solo scopo di farne uso momentaneo e dopo tale uso la restituisca immediatamente. Per configurarsi è necessario che la durata dell’appropriazione, non superi il tempo di utilizzazione della cosa sottratta, è inoltre richiesto un rapporto di funzionalità della cosa sottratta, rispetto alla natura dell’uso momentaneo cui si fa ricorso per l’appropriazione. L’utilizzo del telefono d’ufficio per fini personali è perseguibile se produce un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell’ufficio, deve ritenersi penalmente irrilevante se non presenta conseguenze rilevanti. Pena da 6 mesi a 3 anni.
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PECULATO MEDIANTE PROFITTO DELL’ERRORE ALTRUI
Si ha quando il P.U., nell’esercizio delle sue funzioni, giovandosi dell’errore altrui, riceve o detiene indebitamente, per se o per altri, denaro o altra utilità. E’ necessario che l’errore non sia provocato dolosamente dal funzionario, altrimenti ricorre il reato di concussione.
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INDEBITA PERCEZIONE DI EROGAZIONI A DANNO DELLO STATO (art. 316ter c.p.)
Chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente contributi, finanziamenti, mutui agevolati concessi o erogati dallo Stato o da altri enti pubblici. E’ un reato comune, può essere realizzato da chiunque, la condotta può consistere nell’utilizzare o nel presentare dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, il dolo richiesto è specifico, dovendo il fatto essere commesso al fine di conseguire l’erogazione. Il delitto si consuma col conseguimento indebito del beneficio, sempre che lo stesso non superi 3999 Euro, altrimenti costituisce un illecito amministrativo. E’ configurabile il tentativo, la pena è la reclusione da 6 mesi a 3 anni.
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CONCUSSIONE (artt. 317–323bis c.p.)
Risponde penalmente il P.U. che abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente denaro o altra utilità. Soggetto attivo del reato può essere solo un P.U., l’abuso della qualità consiste nella strumentalizzazione da parte del pubblico funzionario della propria qualifica soggettiva, finalizzata a costringere o indurre taluno, a donazioni o promesse di prestazioni non dovute.
L’abuso dei poteri, consiste invece nella strumentalizzazione da parte del P.U., dei poteri conferitigli, questo abuso presuppone la capacità di esercitare legittimamente il potere, in quanto rientrante nei limiti di competenza e consistente nell’esercizio della potestà di cui è investito, difformemente dallo scopo per cui la legge gliel’ha conferita. L’abuso della funzione, deve avere come effetto, il costringimento della vittima a dare o promettere denaro o altra utilità non dovuti, la costrizione consiste in quel comportamento del P.U. idoneo a generare una situazione di timore, derivante dall’esercizio del potere pubblico, che sia tale da limitare la libera determinazione del privato, mentre l’induzione può manifestarsi in un contegno implicito e blando del P.U. in grado comunque di determinare uno stato di soggezione nel privato
Effetto del costringimento deve essere la dazione, ovvero l’effettiva consegna di denaro o cosa, o la promessa, ovvero l’impegno ad eseguire una determinata prestazione. La dazione o la promessa indebita, devono avvenire a favore dello stesso agente o a favore di altri (escluso come possa essere inteso Stato o altro ente di appartenenza). La giurisprudenza ritiene che il concetto di altra utilità, sia riferito a vantaggi per il patrimonio o la persona dell’agente, escludendo profitti sentimentali, compiacimenti estetici o sessuali.
E’ un delitto per il quale è previsto il tentativo, il dolo previsto è generico, consiste nella coscienza e volontà di tutti gli elementi del reato, con la consapevolezza del carattere indebito della dazione o promessa, è attenuato se il fatto è di particolare tenuità. L’errore sul carattere indebito della dazione o promessa, esclude il dolo.
La pena è da 6 a 12 anni, interdizione perpetua dai pubblici uffici, salvo che la pena sia inferiore per attenuanti a 3 anni, interdizione sarà temporanea, pena accessoria della incapacità di contrattare con la P.A., qualora il delitto sia stato commesso in occasione di attività imprenditoriale
CORRUZIONE (artt. 318–322 c.p.)
Accordo tra pubblico funzionario e privato, in forza del quale il primo accetta dal secondo, per un’attività relativa all’esercizio delle sue attribuzioni, un compenso che non gli era dovuto. Oggetto della tutela penale è l’interesse della P.A. all’imparzialità e correttezza dei propri funzionari e l’interesse a che gli atti d’ufficio non siano oggetto di compravendita privata. La corruzione può essere propria, avente ad oggetto omissione o ritardo di un atto d’ufficio o il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o impropria, per la quale oggetto del mercimonio era il compimento di un atto d’ufficio, antecedente, si ha quando il fatto di corruzione si riferisce ad un atto che il funzionario deve ancora compiere o susseguente, si ha quando il funzionario ha già compiuto l’atto.
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CORRUZIONE PER ESERCIZIO DELLA FUNZIONE (art. 318 c.p.)
Ne risponde il P.U. che per l’esercizio delle sue funzioni e dei suoi poteri, indebitamente riceve denaro o altra utilità o ne accetta la promessa. La corruzione costituisce un reato plurisoggettivo, in quanto di tale delitto rispondono il corrotto e il corruttore, oggetto dell’accordo criminoso è l’esercizio della funzione o del potere nel senso voluto dal corruttore, funzione che diviene oggetto di mercimonio. Il corrispettivo della corruzione è qualsiasi prestazione di denaro o altra utilità, intesa dalla Cassazione come qualsiasi vantaggio materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale, che abbia valore per il pubblico agente. Indebita è la dazione o promessa non dovuta, sia perché espressamente vietata dalla legge, sia perché non prevista da una legge o dalla consuetudine ( rientrano nella consuetudine gli omaggi natalizi, pasquali), il delitto si consuma con l’accettazione della promessa ovvero con la dazione-ricezione del bene. Il dolo previsto è specifico, consiste nella coscienza e volontà del privato di dare o promettere denaro e del funzionario di accettarli, per le finalità previste, con la consapevolezza che quanto corrisposto non è dovuto, ma è funzionale all’esercizio della funzione, nel senso voluto dal corruttore. Il reato è attenuto se di particolare tenuità, la pena è la reclusione da 1 a 5 anni.
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CORRUZIONE PROPRIA ANTECEDENTE
Ne rispondono in concorso necessario tra loro, il P.U. o l’incaricato di pubblico servizio, il quale per omettere o ritardare un atto del suo ufficio, o per fare un atto contrario ai doveri d’ufficio, riceve per se o per altri denaro o altra utilità, ovvero ne accetta la promessa, nonché il privato che da o promette denaro per i fini suddetti. Corruttore e P.U. sono soggetti attivi del reato, oggetto dell’accordo criminoso è il ritardo o l’omissione da parte del funzionario di un atto del suo ufficio o l’emanazione di un atto illegittimo, in contrasto con le norme giuridiche. Il dolo è specifico, in quanto gli agenti devono compiere il fatto per il fine indicato nella norma, il fatto è aggravato se ha per oggetto il conferimento di pubblici impieghi o stipendi o pensioni, o se ha ad oggetto la stipulazione di contratti nei quali sia interessata l’amministrazione, alla quale il P.U. appartiene. La pena è della reclusione da 4 a 8 anni, pena accessoria della incapacità di contrattare con la P.A., qualora il delitto sia stato commesso in occasione di attività imprenditoriale.
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CORRUZIONE PROPRIA SUSSEGUENTE
Ne rispondono in concorso necessario tra loro, il P.U. o l’incaricato di pubblico servizio, che abbiano ricevuto denaro per aver agito contro i doveri del loro ufficio, o per aver omesso o ritardato un atto di ufficio nonché colui che ha dato il denaro. Non è sufficiente la promessa, ma occorre la dazione, per configurarsi tale ipotesi, occorre che l’accordo riguardi un’omissione o un ritardo di atti d’ufficio o l’emanazione di un atto illegittimo già compiuto. Il dolo è generico e la pena è la stessa dell’antecedente.
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CORRUZIONE IN ATTI GIUDIZIARI (art. 319ter c.p.)
Ricorre quando i fatti di corruzione siano stati commessi per favorire o danneggiare una parte di processo penale, civile o amministrativo, il delitto può essere commesso da qualsiasi persone che rivesta la qualifica di P.U., di corruzione in atti giudiziari rispondono sia il corrotto che il corruttore.
E’ previsto il tentativo e il delitto si configura anche per un atto già compiuto, ovvero nell’ipotesi di corruzione susseguente. La pena è la reclusione da 4 a 10 anni, se dal fatto deriva l’ingiusta condanna di taluno alla reclusione non superiore a 5 anni, la pena è la reclusione da 5 a 12 anni, altrimenti da 6 a 20 anni, in questo caso arresto obbligatorio. Si procede d’ufficio, arresto facoltativo e fermo consentito.
INDUZIONE INDEBITA A DARE O PROMETTERE UTILITA' (art. 319quater c.p.)
Concussione per induzione, ne risponde penalmente il P.U. o l’incaricato di Pubblico Servizio, che abusando della sua qualità o dei suoi poteri, induce taluno a dare o promettere, indebitamente a lui o a un terzo denaro o altra utilità. La norma sanziona penalmente accanto al concussore che induce, anche il concusso indotto, cioè colui che per effetto dell’induzione, da o promette denaro o altra utilità.
Riguardo al soggetto attivo, si è esteso il novero dei potenziali soggetti attivi del reato all’incaricato di pubblico servizio (art. 317 c.p., riforma 2012), le condotte sanzionate, si traducono in una strumentalizzazione della qualifica soggettiva, in cui sia implicita la possibilità di esercizio dei poteri (abuso della qualità), ovvero nell’esercizio di potestà, cui il soggetto è investito, in modo difforme dallo scopo prefissato dalla legge (abuso di poteri), finalizzati a convincere mediante attività dialettica, c.d. concussione per induzione, la vittima a dare o promettere senza alcun titolo, denaro o altra utilità.
La Cassazione ha puntualizzato che l’induzione, richiesta per il delitto in esame, necessita di una pressione psichica, posta in essere dal P.U., che si caratterizza, a differenza della costrizione, per la conservazione di un significato margine di autodeterminazione, ovvero perché egli è interessato a soddisfare la pretesa del P.U., per conseguire un indebito beneficio.
E’ configurabile la concussione, nel caso in cui la condotta si traduca in un abuso costrittivo del P.U., realizzato mediante violenza o minaccia, oltre che idoneo a produrre una grave limitazione della libertà di autodeterminazione del concusso, il quale senza avere la prospettiva di alcun vantaggio, viene messo innanzi all’alternativa di subire il male prospettato dal reo, oppure di evitarlo attraverso la dazione o promessa di utilità.
E’ configurabile l’induzione indebita, ove sussista un abuso induttivo, posto in essere dal P.U., che con una condotta di persuasione, suggestione, inganno o pressione morale, condizioni in modo più tenue, la libertà di autodeterminazione del privato, il quale disponendo di ampi margini decisori, accetta di prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, nella prospettiva di un tornaconto personale. Il delitto si consuma con dazione o promessa ed è previsto il tentativo. La fattispecie è punibile a titolo di dolo generico, consistente nella volontaria e cosciente realizzazione della condotta, con la consapevolezza del carattere indebito della dazione o promessa. E’ attenuato se di particolare tenuità. La pena è la reclusione da 3 a 8 anni per chi induce, fino a 3 anni per l’indotto.
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ISTIGAZIONE ALLA CORRUZIONE (art. 322 c.p.)
Per integrarne gli estremi, è sufficiente la semplice offerta o promessa di denaro o altra utilità non dovuti, purché sia caratterizzata da adeguata serietà e sia in grado di turbare psicologicamente il P.U., al punto che sorga il pericolo che lo stesso accetti l’offerta. Non è necessario che l’offerta abbia una giustificazione, ne che sia specificata l’utilità promessa, ne la somma di denaro, è sufficiente la prospettazione da parte dell’agente dello scambio illecito.
Per i delitti previsti dagli artt. 314-320 c.p., è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, quando essa non è possibile, è prevista la confisca dei beni, di cui il reo ha disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo o profitto e comunque non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità, date o promesse al P.U.
Il giudice con sentenza di condanna, determina le somme di denaro o individua i beni assoggettati a confisca, in quanto costituenti il prezzo o il profitto del reato, ovvero in quanto di valore corrispondente al profitto o prezzo.
ABUSO D’UFFICIO (art. 323 c.p.)
Modificato con la legge anticorruzione (L. n.190/2012), dispone che salvo che il fatto non costituisca reato più grave, il P.U. o l’incaricato, che nello svolgimento del suo servizio o funzioni, in violazione di legge o regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, intenzionalmente procura a se o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale, ovvero arreca ad altri un danno ingiusto, è punito con la reclusione da 1 a 4 anni, pena aumentata nei casi di rilevante gravità.
Soggetti attivi, sono il P.U. o l’incaricato di pubblico servizio, ad avviso della Giurisprudenza, sussiste il requisito della violazione di legge, non solo quando la condotta del P.U. sia svolta in contrasto con le norme che regolano l’esercizio del potere, ma anche quando la stessa risulti orientata alla sola realizzazione di un interesse collidente con quello per il quale il potere è attribuito.
Per la sussistenza dell’abuso d’ufficio, occorre l’effettiva produzione di tale ingiusto vantaggio o ingiusto danno, non sussiste quando il P.U. agisca al di fuori dell’esercizio delle sue funzioni. L’ingiusto vantaggio penalmente rilevante è solo quello patrimoniale. Il delitto si consuma col verificarsi del vantaggio o del danno, è configurabile il tentativo. Sotto il profilo soggettivo è sufficiente il dolo generico, dovendosi interpretare l’intenzionalmente del legislatore, nel senso di coscienza e volontà sia dell’abuso che dell’ingiusto vantaggio o danno, La pena è della reclusione da 1 a 4 anni ed interdizione temporanea dai pubblici uffici, interdizione perpetua per condanna oltre i 5 anni. Competenza Tribunale collegiale, si procede d’ufficio, arresto e fermo non consentiti.
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RIFIUTO-OMISSIONE DI ATTI D’UFFICIO (art. 328 c.p.)
Il P.U. o l’incaricato, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio, che per ragioni di sicurezza pubblica o giustizia, o di ordine pubblico, sanità o igiene, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da 6 mesi a 2 anni.
Il P.U. O l’incaricato, che entro 30 giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse (che deve essere redatta in forma scritta), non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno.
Gli atti qualificati sono motivati da ragioni di giustizia, sicurezza pubblica, ordine pubblico, igiene o sanità, è punito rifiuto e omissione. Gli atti non qualificati sono tutti gli atti amministrativi per i quali è punita solo l’omissione.
Il rifiuto è il diniego di compiere un atto dovuto ed espressamente richiesto, non è sufficiente una mera inerzia, occorre il rifiuto, manifestato o tacito ed indebito, ovvero che non trova giustificazione nella legge o in una disposizione della pubblica autorità. Per la punibilità è previsto il dolo. Perché venga punita l’omissione, è necessario che vi sia una richiesta scritta da parte dell’interessato, siano decorsi 30 giorni dal momento in cui il P.U. ne abbia ricevuto richiesta, il P.U. non abbia compiuto l’atto e non abbia risposto per esporre le ragioni del ritardo. Per sottrarsi alla responsabilità penale, basta esporre le ragioni del ritardo, non è esente chi adduca a sua discolpa la complessità della pratica o di ignorare la necessità di una risposta scritta. E’ richiesto il dolo, la pena è della reclusione da 6 mesi a 2 anni per il rifiuto, fino ad un anno per l’omissione, la condanna comporta l’interdizione temporanea dai pubblici uffici. Competenza Tribunale collegiale, si procede d’ufficio, arresto e fermo non consentiti.
DELITTI DEI PRIVATI CONTRO LA P.A.
L’elemento principale è dato dal fatto che tali delitti, offendano gli interessi della P.A. da persone poste all’esterno dell’amministrazione. Si applicano quando il reato è commesso nei confronti della Corte penale internazionale, dei giudici, del procuratore, dei procuratori aggiunti, funzionari e agenti della Corte, persone comandate dagli Stati parte del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale, le quali esercitino funzioni corrispondenti a funzionari e agenti della Corte.
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VIOLENZA O MINACCIA A P.U. (art. 336 c.p.)
E’ punito chiunque usa violenza o minaccia a P.U. o incaricato, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell’ufficio o del servizio (comma 1: pena da 6 mesi a 5 anni), e chiunque usa violenza o minaccia a P.U. o incaricato, per costringerlo a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire su di lui (comma 2: pena reclusione fino a 3 anni).
E’ un reato plurioffensivo, andando a ledere il normale funzionamento della P.A. e la persona del P.U., la violenza e la minaccia, devono essere finalizzate ad un’azione futura del P.U., non è necessario che il P.U. si trovi nell’esercizio delle sue funzioni nel momento in cui il fatto è commesso, il reato si consuma che l’uso della violenza o della minaccia, il dolo è specifico. Competenza Tribunale Monocratico, si procede d’ufficio, arresto facoltativo, fermo non consentito.
RESISTENZA A P.U. (art. 337 c.p.)
Commette il delitto, chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un P.U. o incaricato, mentre compie un atto di ufficio o di servizio, o a coloro che richiesti gli prestino assistenza. La violenza o minaccia, è posta in essere mentre il funzionario compie l’atto del suo ufficio e mira ad opporsi all’attività in corso. Non è necessario che sia impedita in concreto la libertà di azione del P.U., essendo sufficiente che si usi minaccia o violenza per opporsi al compimento di un atto d’ufficio o di servizio, indipendentemente dall’esito positivo o negativo di tale azione e dell’effettivo verificarsi di un ostacolo al compimento degli atti predetti.
La resistenza meramente passiva, buttarsi a terra, rifiutarsi di obbedire, aggrapparsi ad appigli, non integra il delitto in esame, neppure quando il funzionario sia costretto alla forza per vincerla. Per quanto riguarda la fuga, non rappresenta condotta idonea ad integrare il reato, salvo quando sia accompagnata da manovre di intimidazione verso il P.U.
Il delitto si consuma con l’uso della violenza o della minaccia, il dolo è specifico, traducendosi nella coscienza e volontà della condotta, finalizzata ad opporsi all’operato dei soggetti indicati nella norma. La pena è della reclusione da 6 mesi a 5 anni. Competenza Tribunale Monocratico, si procede d’ufficio, arresto facoltativo, fermo non consentito.
OCCULTAMENTO, CUSTODIA O ALTERAZIONE MEZZI DI TRASPORTO (art. 337bis c.p.)
Chiunque occulti o custodisca mezzi di trasporto di qualsiasi tipo che, rispetto alle caratteristiche omologate, presentano alterazioni o modifiche o predisposizioni tecniche, tali da costituire pericolo per l’incolumità fisica degli operatori di Polizia.
L’interesse tutelato è principalmente l’incolumità fisica degli operatori di Polizia, per quanto riguarda la condotta, è punita sia l’alterazione dei mezzi di trasporto che l’occultamento e la custodia.
L’elemento soggettivo del reato è punito a titolo di dolo generico (l’incolumità delle forze di Polizia, non costituisce l’intento perseguito dall’agente). Se il colpevole è titolare di concessione , autorizzazione, licenza o altro titolo, abilitante l’attività di cui alla norma in esame, alla condanna consegue la pena accessoria della revoca del titolo che legittima tale attività, la pena è della reclusione da 2 a 5 anni e multa da 2mila a 10mila Euro circa.
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CIRCOSTANZE AGGRAVANTI (art. 339 c.p.)
Le pene stabilite per i reati di cui sopra, sono aumentate se la violenza o minaccia è commessa con armi, (esse devono essere adoperate o tenute palesemente addosso in modo da aumentare l’effetto intimidatorio) o da persona travisata o da più persone riunite (anche due, anche non imputabili o non punibili) o con scritto anonimo o in modo simbolico, avvalendosi della forza intimidatrice, derivante da segrete associazioni esistenti o supposte.
Sono considerate di maggiore gravità le ipotesi commesse da più di 5 persone riunite, mediante uso di armi, anche soltanto da parte di uno, ovvero da più di 10 persone senza armi, o mediante il lancio o l’utilizzo di corpi contundenti o altri oggetti atti ad offendere, compresi gli artifici pirotecnici.
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OLTRAGGIO A PUBBLICO UFFICIALE (art. 341bis c.p.)
Reintrodotto nel 2009 col pacchetto sicurezza (L. n.94/2009), afferma che risponde penalmente chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l’onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale, mentre compie un atto d’ufficio o nell’esercizio delle sue funzioni.
La reintroduzione del reato, abrogato a seguito della legge delega sulla depenalizzazione dei reati minori (L. n.205/1999), è basata sul fatto che tale delitto può danneggiare in maniera grave l’immagine della P.A., di fatto completamente spodestata da qualsiasi forma di tutela.
La fattispecie sul piano oggettivo, sanziona penalmente l’offesa all’onore ed al prestigio del Pubblico Ufficiale, deve essere commessa in presenza di più persone, in luogo pubblico o aperto al pubblico. Quanto all’elemento soggettivo, è punito a titolo di dolo generico, consistente nella coscienza e volontà della condotta, accompagnata dalla consapevolezza, nell’agente della potenzialità oltraggiosa della frase pronunciata, e della volontà di rivolgerla al P.U.
Il fatto è aggravato se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, se la verità del fatto è provata o se per esso, l’ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato, dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore dell’offesa non è punibile. Il reato è estinto, se l’imputato prima del giudizio abbia riparato interamente il danno mediante risarcimento. La pena è della reclusione fino a 3 anni, aumentata di un terzo se l’offesa è attribuita ad un fatto determinato.
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MILLANTATO CREDITO (art. 346 c.p.)
Lo commette chiunque, millantando un credito presso un P.U. o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere a se o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il P.U. o impiegato (pena da 1 a 5 anni e multa fino a 2mila Euro) ovvero chiunque riceve o fa dare o promettere, a se o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato o di doverlo remunerare (reclusione da 2 a 6 anni e multa fino a 3mila Euro).
Scopo dell’incriminazione è la tutela del prestigio della P.A., che viene leso ogni qualvolta si mercanteggiano pretese influenze presso pubblici ufficiali o impiegati o si faccia credere che gli stessi siano corruttibili o arrendevoli a illecite operazioni.
La condotta si traduce nel millantare un credito, cioè vantare una particolare influenza presso un P.U., la millanteria deve essere idonea a raggiungere lo scopo propostosi dall’agente, tale idoneità va accertata in concreto, con riferimento al soggetto preso di mira dal millantatore. Il delitto si consuma nel momento in cui l’agente ottiene la dazione o promesse connesse alla millanteria. Il dolo è generico, bastando la coscienza e la volontà di carpire la promessa o la dazione del denaro, millantando credito. Competenza Tribunale Monocratico, si procede d’ufficio, arresto facoltativo, fermo non consentito.
TRAFFICO DI INFLUENZE ILLECITE (art. 346bis c.p.)
Ne risponde chiunque sfruttando relazioni esistenti con un P.U. o con incaricato, indebitamente fa dare o promettere, a se o ad altri, denaro o altro vantaggio patrimoniale, come prezzo della propria mediazione illecita verso il P.U. o l’incaricato, ovvero per remunerarlo, in relazione al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio o all’omissione o al ritardo di un atto del suo ufficio (comma 1), ovvero, chi indebitamente, da o promette denaro o altro vantaggio patrimoniale ai soggetti e per le finalità anzidette (comma 2).
L’interesse tutelato è nel buon andamento, imparzialità e prestigio della P.A. Quanto alle condotte rilevanti, il delitto costituisce una figura speciale del millantato credito, in quanto la relazione col P.U. non è millantata ma realmente esistente. In questa ipotesi, mediazione e remunerazione del P.U. sono equiparate sotto il profilo sanzionatorio. Quanto all’elemento soggettivo, la fattispecie è punibile a titolo di dolo generico, consistente nella coscienza e volontà di porre in essere la condotta tipica, accompagnata dalla consapevolezza di ricevere il compenso come prezzo della propria mediazione o come strumento per corrompere il P.U.
Costituiscono circostanze aggravanti, il fatto commesso da P.U. o incaricato di pubblico servizio, ovvero se commesso in relazione all’esercizio di attività giudiziarie, è attenuato se di particolare tenuità. La pena è della reclusione da 1 a 3 anni anche per il destinatario della millanteria.
REAZIONE LEGITTIMA AD ATTI ARBITRARI DEL P.U. (art. 393bis c.p.)
Non si applicano le disposizioni di Resistenza, Violenza e Oltraggio, quando il P.U. o l’incaricato, ovvero il pubblico impiegato, abbia dato causa al fatto preveduto negli stessi articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni